Amarcord: la turbolenta carriera di Blaz Sliskovic, il Maradona dei Balcani

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Ha rispettato alla lettera tutti i canoni ed i luoghi comuni del perfetto calciatore jugoslavo: talentuoso ed incostante in campo, vizioso e poco malleabile fuori. Blaz Sliskovic non è stato un atleta facile da gestire, ci hanno provato in tanti, ci sono riusciti in pochi; tranne forse a Pescara, dove ancora oggi Sliskovic è ricordato come uno degli idoli maggiori che siano transitati in riva all’Adriatico, alla faccia dell’incostanza, del poco genio e della tanta sregolatezza.

Blaz Sliskovic nasce a Mostar (Bosnia) il 30 maggio del 1959 e cresce calcisticamente nella locale formazione del Velez Mostar dove si mette in mostra per l’eccellente qualità tecnica che gli consente a soli 19 anni di esordire con la maglia della nazionale jugoslava. Con la rappresentativa olimpica del suo paese, poi, il giovane Sliskovic incrocia per la prima volta nella sua carriera l’Italia, la nazione del suo destino: è il 26 marzo 1980 quando le nazionali di Jugoslavia ed Italia si incontrano in una gara valida per le qualificazioni alle Olimpiadi di Mosca dello stesso anno; per gli azzurri è una carneficina, i piccoli e talentuosi slavi fanno ciò che vogliono in campo, Sliskovic in particolare è il regista perfetto di una squadra perfetta: definirlo un fantasista è riduttivo, perchè quel ragazzotto coi capelli arruffati e la barbaccia incolta si piazza in ogni zona del campo realizzando pure due delle cinque reti con cui la sua squadra abbatte gli avversari. “Sembra un boscaiolo”, dicono in Jugoslavia, per il suo look trasandato, le larghe camicie di flanella a quadri ed un fisico non esattamente asciutto, oltre a qualche bizza di troppo: ama l’alcol, il fumo e le donne, a tal punto da perdere la maglia della nazionale quando il richiamo del gentil sesso lo strappa dal ritiro e lo fa fuggire assieme ad un’avvenente atleta russa saltando qualche mese di partite ed allenamenti.

Nel suo paese già impazziscono per lui, lo chiamano il Maradona dei Balcani, gli preannunciano una carriera svavillante, smussando magari qualche piega turbolenta del suo carattere. Sliskovic è acquistato dall’Hajduk Spalato e nel 1985 l’Italia torna nel suo destino: il Torino affronta la formazione slava in un doppio confronto di Coppa Uefa nel quale il fantasista bosniaco è il migliore in campo, gol all’andata, gol al ritorno e Torino sbattuto fuori dalla competizione, in gran parte per merito (o colpa) di quel calciatore che l’aspetto da calciatore proprio non ce l’ha, ma dispone di un talento smisurato. Sugli spalti dello stadio Comunale di Torino per assistere alla gara di Coppa Uefa c’è Giovanni Galeone, all’epoca allenatore della Spal, che nel suo taccuino segna a caratteri cubitali il nome di Blaz Sliskovic, rimanendo stregato dalle qualità del calciatore, di cui si accorgono anche all’Olympique Marsiglia: offerta all’Hajduk e contratto milionario per portare lo jugoslavo in Francia. Ma la vita francese di una città portuale come Marsiglia non fa per Sliskovic che si ambienta poco e male, segna 6 reti ma chiede a fine stagione di essere ceduto in prestito; il più veloce di tutti è proprio Giovanni Galeone che nel frattempo ha assunto la guida del Pescara riportandolo in serie A con un campionato trionfale; il tecnico friulano si ricorda di Sliskovic, sa che ora può approfittare della situazione e convince il presidente pescarese Scibilia a portarlo in Abruzzo. Sliskovic accetta, convinto dalla possibilità di giocare in serie A e dalle parole di un tecnico che stravede per lui, che non gli mette limiti e imposizioni: “Fai ciò che vuoi – gli dice Galeone – sei così forte che ti puoi permettere ogni cosa”.

Sbarcato a Pescara con look rinnovato, capelli corti all’indietro, baffoni prorompenti, un misto fra Freddie Mercury e Stalin, Sliskovic diviene immediatamente l’idolo della piazza grazie a quel tocco di palla formidabile e a quelle voci che gli ronzano attorno e che lui stesso ammette senza timori: “Fumo dalle 30 alle 40 sigarette al giorno”, dice Sliskovic durante il ritiro estivo del Pescara nell’estate del 1987, aggiungendo poi: “Anche col caffè vado forte: se sono in giornata ne bevo una ventina”. Una condotta non salutare per una persona normale, figurarsi per un atleta; anche perchè il nuovo acquisto della squadra biancazzurra appare visibilmente in sovrappeso e pare non ami solo sigarette e caffè, ma anche gli amari italiani (che imparerà immediatamente ad apprezzare) e il vino rosso. Tutto spazzato via dall’esordio del bosniaco con la maglia del Pescara: in Coppa Italia contro il Genoa fa faville, al debutto in campionato a San Siro, gli abruzzesi piazzano il colpo grosso vincendo 2-0 contro l’Inter grazie al gioco veloce ed aggressivo proposto da Galeone e in cui Sliskovic (autore su calcio di rigore del primo gol) si ritrova alla meraviglia. Contro la Roma, poi, il tunnel a Bruno Conti, un gesto che proietta il fantasista slavo a idolo assoluto del popolo pescarese: irriverente, arrogante e dotato di una tecnica sublime, impossibile non amarlo per una piazza piccola e alla ricerca della prima storica salvezza in serie A. Ma è soprattutto fuori dal campo che Sliskovic impara ad apprezzare Pescara ed il proprio allenatore: il rapporto fra lui e Giovanni Galeone, infatti, diventa molto più solido di quello che di solito esiste fra un tecnico ed uno sei suoi calciatori. I due escono spesso insieme la sera, fanno lunghe passeggiate sul lungomare di Pescara, Galeone concede al suo pupillo anche qualche bicchiere di vino di troppo, capendo che la sobrietà a tavola non sarà mai il punto di forza di Sliskovic, così come la sua tenuta fisica; qualcuno sussurra che l’allenatore chiuda un occhio (o forse tutti e due) davanti ad alcuni viaggi clandestini del calciatore in Jugoslavia per rimpinzarsi del cibo di casa sua e respirare un po’ l’aria familiare, voci smentite dai protagonisti ma che aiutano ad alimentare la leggenda.

L’idillio fra Sliskovic e Pescara è fortissimo, ma dura poco: la squadra abruzzese coglie la prima storica salvezza in serie A della sua esistenza e lo fa con merito, prendendosi pure l’applauso dell’Italia intera per il miglior gioco del campionato, considerando anche la qualità della rosa. Sliskovic contribuisce con 8 reti e quelle giocate amatissime dal pubblico dell’Adriatico. Ma il prestito termina a maggio del 1988 e l’Olympique Marsiglia, soddisfatto del rendimento del calciatore a Pescara, lo riporta a casa, un modo di dire errato perchè in Francia il bosniaco a casa non ci si è mai sentito e mai ci si sentirà, lo dice chiaro e tondo alla dirigenza marsigliese che lo fa girare in lungo e in largo nel paese transalpino: Lens, Mulhouse e Rennes, prestazioni non eccellenti, il fisico che cede sempre di più, quel talento ormai buttato via. Sliskovic a 33 anni è sul punto di dire basta col calcio, di tornarsene a casa dove però il campionato non esiste più perchè la Jugoslavia è dilaniata dalla guerra civile che sta devastando e disgregando il paese. Altro che Maradona dei Balcani, laggiù nel 1992 c’è ben altro a cui pensare. Ecco che allora il telefono di Blaz Sliskovic suona di nuovo e il prefisso è ancora quello di Pescara: dall’altra parte del filo c’è Giovanni Galeone. Il tecnico non chiama per cortesia, chiama per lavoro: è tornato a Pescara ed ha riportato i biancazzurri in serie A, ora vorrebbe la disponibilità di Sliskovic di tornare in Abruzzo e ripetere l’impresa della salvezza di cinque anni prima. Tanto è cambiato, in Italia, a Pescara e nel calciatore slavo: ma niente può fermare lui e Galeone, niente e nessuno, nemmeno il presidente Scibilia che non ama quel giocatore bizzoso e grassoccio, non vuole spendere troppi soldi per un atleta sul viale del tramonto, preferirebbe un organico giovane e dinamico, la lotta per non retrocedere sarà durissima per gli abruzzesi. Ma Galeone è irremovibile: “Presidente, prendiamo Sliskovic, magari lui e nessun altro, ma riprendiamolo”. Come non accontentare il profeta di Pescara? Per la stagione 1992-93 il Pescara annuncia il ritorno di Blaz Sliskovic e il popolo pescarese è eccitatissimo, nonostante, a parte il bosniaco, la rosa appaia poco competitiva.

Il campionato sarà un disastro per il Pescara: ultimo dal primo all’ultimo turno, infatti, il derelitto gruppo abruzzese non mostrerà nulla del bel calcio fatto ammirare in passato. Galeone non si ripete, Skiskovic ancor meno con una sola rete siglata il 25 ottobre 1992 nel pirotecnico 4-3 con cui la sua squadra perderà in casa del Genoa. Per il resto, tanto affanno, una condizione atletica precaria e l’esonero di Galeone alla 25.ma giornata, accusato di aver reso la squadra piatta ed arrendevole, reo anche di aver proposto quello Sliskovic ormai appesantito ed ammuffito. Il bosniaco lascia Pescara a giugno del 1993 nell’indifferenza di una piazza delusa, arrabbiata e preoccupata per un futuro per nulla roseo e per una società che faticherà ad iscriversi alla serie B 1993-94 nella quale sarà penalizzata e in cui riuscirà a salvarsi con fatica. Sliskovic giocherà ancora fino al 1998, tornando nella sua Bosnia di cui diventerà anche commissario tecnico per quattro anni dal 2002 al 2006 quando verrà apprezzato come buon tecnico dall’acume tattico e dal dialogo coi calciatori, lezioni apprese ed assimilate dal maestro Galeone circa vent’anni prima. A Pescara, Sliskovic è ancora oggi un idolo incontrastato: nei bari e nei ritrovi, le gesta dello slavo vengono tuttora decantate, magari fumando una sigaretta, sorseggiando un caffè e degustando un amaro, tanto per ricreare condizioni e situazioni tanto care al talento di Mostar.

di Marco Milan

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