Amarcord: Mark Dittgen, il centravanti giardiniere

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Quella di Mark Dittgen è una storia grottesca e con lati anche comici. Il calcio in sottofondo, una città importante ed un tifo appassionato come Palermo, il tutto ingrigito e intristito da una serie C che ai siciliani stava stretta come un paio di scarpe dal numero troppo piccolo. Una vicenda curiosa, unica e probabilmente irripetibile nel mondo del calcio e della quale oggi, forse, ridono anche gli stessi palermitani.

Estate 1997: il Palermo è appena retrocesso dalla serie B alla C1, la piazza siciliana è in rivolta perchè il presidente Ferrara aveva promesso ben altro un anno prima, sbagliando invece tutte le scelte e chiudendo il campionato cadetto in fondo alla classifica. Naturale che ora i tifosi palermitani si aspettino una pronta risalita, un torneo di vertice e la riconquista immediata della serie B senza ulteriori discussioni: la società i suoi bonus li ha già ampiamente esauriti, ora può solo riscattarsi con la promozione. Per rinforzare l’organico a disposizione del tecnico Arcoleo, il Palermo acquista tra gli altri il centravanti tedesco Mark Dittgen, classico panzer teutonico, alto oltre 1 metro e 90, prestante fisicamente e reduce da una discreta annata in Svizzera col San Gallo, squadra dalla quale il presidente siciliano preleva l’attaccante che coi suoi gol e i suoi movimenti dovrà garantire l’alta classifica ai rosanero. Dittgen, classe 1974, inizia la sua avventura italiana in salita: ha difficoltà con la lingua, ha troppo caldo in una città nella quale si va al mare fino a novembre e soffre il tatticismo del calcio d’Italia, marcature asfissianti dei difensori, dettami dell’allenatore troppo complicati. L’attaccante tedesco pensava forse che sarebbe bastato piazzarsi al centro dell’area di rigore avversaria ed aspettare i cross dal fondo: invece no, in Italia e in serie C, dove manca la qualità della A e dove c’è quindi immancabilmente più esasperazione tattica e fisicità, il calcio è più complicato del previsto e Dittgen se ne accorge quasi subito.

Ignazio Arcoleo, allenatore del Palermo ed ex calciatore rosanero, intuisce peraltro che quell’attaccante tedesco ha carenze evidenti sulla tecnica di base: passi infatti per i piedi non eccellenti, ma al tecnico siciliano sembra impossibile ed inconcepibile che un ragazzo di quella stazza sbagli quasi tutti i tempi aerei di intervento, saltando spesso fuori tempo e mancando l’impatto col pallone. Arcoleo inizia così a far trattenere Dittgen oltre l’orario di allenamento per migliorare il colpo di testa: se la seduta termina alle 18, il tedesco rimane fin quasi alle 20 con lo staff tecnico per colmare le sue lacune. E qui partono i lati comici: la moglie del calciatore, gelosissima del marito, inizia ad infastidirsi perchè tutto il Palermo torna a casa per cena, mentre Dittgen rincasa a sera tarda. Perchè? Il centravanti tedesco si giustifica con la verità e parla di allenamenti supplementari, anzi, a sua discolpa mostra lividi ed escoriazioni sulla fronte, segni del lavoro sul polveroso e sterrato campo pieno di pietruzze. Ma la moglie ci crede poco, sospetta che dietro quei ritardi ci sia un’amante, qualche abbronzata donna italiana del sud che col suo fascino mediterraneo ha stregato il prestante ragazzo tedesco. Dittgen ha così problemi sia sul lavoro che in famiglia: Arcoleo si fida poco di lui e lo lascia quasi sempre fuori dall’undici titolare, la moglie si fida ancora meno e minaccia di pedinarlo, fin quando l’ex punta del San Gallo si stanca di tutti questi sospetti e porta la coniuge ad assistere ad uno dei suoi faticosi allenamenti, unico calciatore della squadra a restare in campo a lavorare anche dopo l’orario di chiusura.

Il campionato del Palermo, inoltre, è iniziato malissimo con due sole vittorie nelle prime otto giornate e con pesanti sconfitte come quella nel derby in casa dell’Atletico Catania o quella con la Ternana, la promozione già alla fine del girone d’andata sembra un miraggio, il pubblico palermitano è inferocito come non mai e anche il povero Dittgen finisce nel calderone della furia dei tifosi, additato come bidone e come attaccante incapace di fare gol. Il tedesco, ricucite le incomprensioni coniugali, si ritira nella sua villa di Mondello dove ama dedicarsi all’hobby del giardinaggio: sistema, pota ed accudisce le molte piante a disposizione, un modo come un altro per rilassarsi. Il 6 gennaio 1998 il Palermo gioca il ritorno degli ottavi di finale della Coppa Italia di serie C: allo stadio La Favorita arriva l’Atletico Catania, già giustiziere dei rosanero in campionato; la gara di andata a Catania è terminata 1-1, alla squadra di Arcoleo basterebbe lo 0-0 per qualificarsi, ma è una stagione infausta e nessuno ha voglia di crogiolarsi sul leggero vantaggio del gol siglato in trasferta. La gara infatti è subito dura per il Palermo, l’Atletico Catania prova a sfondare il muro rosanero e i pochi tifosi palermitani presenti allo stadio iniziano a tremare; finchè accade quello che nessuno si aspetta, ovvero il gol di Dittgen, uno che i gol non li ha fatti mai: il centravanti tedesco, infatti, al termine di un’azione di potenza e fisicità, scaraventa la palla in rete per il vantaggio del Palermo, una marcatura decisiva per il risultato (che non cambierà più) e per il passaggio del turno. Forse la squadra ha trovato un attaccante utile per la seconda parte di stagione, pensa qualche ottimista tifoso siciliano, senza sapere che il peggio debba ancora arrivare. Poche settimane più tardi, puntualmente, si materializza l’evento che segnerà la fine dell’avventura italiana del povero centravanti di Germania: Mark Dittgen è nel giardino di casa sua e sta come sempre armeggiando con le sue piante, quando all’improvviso si accorge che qualcosa non va nelle rose che ha piantato, perchè alcune di esse sono storte, altre hanno perso i petali e vanno sistemate. Il calciatore si sporge troppo in avanti e non si accorge di una spina che sporge e che gli finisce nell’occhio destro: Dittgen urla di dolore portandosi le mani al volto, il sangue che sgorga copioso dalla faccia. La moglie accorre subito, richiamata dalle grida del marito ed insieme corrono al pronto soccorso: infiammazione della cornea è il responso medico, gli applicano una vistosa benda e gli prescrivono un mese di riposo.

Qualcuno lo avvista in tribuna la domenica successiva, l’occhio fasciato e lo sguardo sofferente. Ricominciano le malignità delle malelingue palermitane: vuoi vedere che la moglie di Dittgen si è ingelosita un’altra volta ed è passata alle vie di fatto?  Niente di tutto ciò, eppure la stagione del tedesco in Italia si chiude così con 20 presenze totali (spesso spezzoni di gara) e 2 reti all’attivo; in più, il San Gallo aprirà un contenzioso verso il Palermo, reo di non aver pagato gli 800 milioni di lire pattuiti con la società svizzera che vincerà la causa: l’Uefa imporrà ai siciliani di non poter acquistare calciatori da campionati esteri per due anni. Il finale della stagione 1997-98, in ogni caso, è disastroso per Dittgen e per il Palermo: smaltito il guaio all’occhio, infatti, l’attaccante non scenderà più in campo, Arcoleo ha troppi problemi da risolvere, il Palermo è sceso in fondo alla classifica ed è costretto a disputare i playout contro la Battipagliese per evitare la caduta in C2. Playout che i rosanero perderanno clamorosamente a vantaggio dei campani, passando in un anno dalla serie B alla C2, un’umiliazione che solo la mancata iscrizione dell’Ischia Isolaverde cancellerà permettendo al Palermo di essere ripescato in C1. Forse è anche per questo, forse per il tempo trascorso e per i fasti dei rosanero ad inizio anni duemila, che i tifosi siciliani ricordano Mark Dittgen e la sua storia con un sorriso; una storia grottesca ed a tratti divertente, curiosa e singolare. Non c’è rosa senza spine, si usa dire: già, andatelo a raccontare a Mark Dittgen.

di Marco Milan

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