Un treno “patriottico” riaccende le tensioni tra Serbia e Kosovo

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Un treno dipinto con i colori della bandiera serba e che riportava la scritta “Kosovo è Serbia” in diverse lingue è partito da Belgrado verso Kosovska Mitrovica, città nel nord a maggioranza serba del Kosovo. Tensione fra i due Paesi

kosovo serbiaLo scorso 14 gennaio, un treno passeggeri ha riacceso la tensione – mai sopita – tra la Serbia e il Kosovo, sua ex provincia autonoma, autoproclamatasi indipendente nel 2008. Il convoglio era partito da Belgrado (capitale della Serbia) e diretto a Kosovska Mitrovica, città nel nord a maggioranza serba del Kosovo, tagliata in due dal fiume Ibar con un nord della città serba e un sud a maggioranza albanese. Il treno era dipinto con i colori della bandiera serba e riportava la scritta “Kosovo è Serbia” in diverse lingue.

I rapporti tra Belgrado e Pristina sono precari e tutt’ora non ben definiti e l’episodio del convoglio è solo l’ultimo che può pregiudicare ulteriormente l’equilibrio tra i due Stati.

Per Pristina, l’ingresso del treno serbo in Kosovo è stata una palese provocazione di Belgrado, una minaccia alla sovranità territoriale e all’indipendenza politica del Paese e il governo kosovaro del premier Isa Mustafa ha ordinato il blocco dell’accesso del convoglio nel paese e il ricorso delle forze speciali. Il treno è rimasto fermo al confine.

Aleksandar Vučić, primo ministro europeista serbo, ha condannato la decisione kosovara di bloccare il treno: “Noi cerchiamo dialogo e cooperazione, per pace e crescita nei Balcani. Io non ero al corrente del viaggio del treno, ma se a un treno si reagisce mandando reparti armati di mitragliatrici si rischia d’accendere un incendio pericoloso per l’Europa intera“.

Mentre il presidente della Repubblica Tomislav Nikolić, dopo aver accusato Priština di “giochi di guerra”, ha dichiarato che la componente serba del Kosovo è in costante pericolo e che con l’episodio del treno “si è stati sull’orlo del conflitto”.

Il contesto politico e sociale di entrambi i paesi fa capire come le relazioni tra Belgrado e Pristina siano sul punto di riprecipitare nel caos. Da un lato, la Serbia sta attraversando un momento difficile per la situazione economica, per il percorso verso l’adesione all’Unione europea (a luglio 2016 sono stati aperti i negoziati sui capitoli 23 e 24 del Trattato UE, quelli relativi a diritti fondamentali e giustizia, libertà e sicurezza), per le tensioni interne alla coalizione di governo guidata da Vucic (in particolare i contrasti con i socialisti del suo ministro degli Esteri, Ivica Dačić, in merito alle tensioni kosovare e alle relazioni con la Russia) e per i rapporti tra lo stesso Vucic e il presidente della Repubblica Tomislav Nikolić, proprio sul dossier Kosovo essendo Nikolic sensibile alle sirene nazionaliste e per certi versi più vicino alle posizioni di Dačić.

Anche in Kosovo le tensioni politiche ed economiche sono destabilizzanti. In particolare, gli accordi del 2015 tra Kosovo e Serbia che prevedono l’istituzione di una Associazione delle municipalità nel nord Kosovo, che concederebbe un’autonomia amministrativa ai comuni a maggioranza serba, sono bloccati per il veto loro posto dalla Corte costituzionale del Kosovo che ha deciso una sospensione dell’attuazione dell’accordo nell’interesse pubblico, in considerazione del clima di ostruzionismo parlamentare che si è venuto a creare.

Altri episodi: la costruzione di un muro da parte del governo locale serbo, lo scorso dicembre, lungo tutta la parte nord del fiume, dividendo così a metà la città di Mitrovica.

Il processo di stabilizzazione delle relazioni bilaterali tra Belgrado e Pristina è complesso è qualsiasi provocazione può ostacolare qualsiasi passo in avanti. Il Kosovo, provincia autonoma dell’allora Repubblica Federale di Jugoslavia (nata nel 1992 dall’unione di Serbia e Montenegro) è stato al centro della guerra tra serbi e albanesi che nel 1999 ha portato alla decisione Nato di bombardare lo stato della Serbia per 78 giorni, “giustificato” da motivazioni umanitarie.

Successivamente a seguito di referendum, il Montenegro nel 2006 ha scelto l’indipendenza dalla Serbia e nel 2008 si è avuta la dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Repubblica del Kosovo. Il Kosovo ha per i serbi un valore storico e culturale importantissimo. Di fatto rappresenta la culla della civiltà serba, il luogo dove nel 1389 l’esercito serbo, guidato dal principe Lazar, ha resistito eroicamente all’avanzata dei turchi. Sosteneva Ami Boué, geologo austriaco dell’Ottocento, grande conoscitore dei Balcani: “La battaglia di Kosovo Polje (la piana dei merli, letteralmente) è per i serbi quello che per i nostri storici è la nascita di Cristo”.
Jovan Skerlic, il più grande critico belgradese, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, riteneva invece che Kosovo Polje stesse alla poesia serba come la guerra di Troia all’antichità greca.

La Serbia da parte sua, sta negoziando il trattato di adesione all’UE ma non tralascia il dialogo strategico con Mosca che punta a restaurare la sua storica influenza nell’Europa orientale e nei Balcani occidentali, anche alla luce dell’espansione della Nato nell’area (si veda il duro scambio di battute tra l’organizzazione del nord Atlantico e Mosca in merito all’adesione alla Nato del Montenegro).

Pertanto, il ritorno dell’influenza russa nella regione rischia di deviare il percorso euro-atlantico della Serbia (negli ultimi anni, Mosca e Belgrado hanno riallacciato di nuovo i rapporti tradottosi in una serie di accordi bilaterali sia in campo militare sia economico) può pregiudicare sia i rapporti tra Belgrado e Pristina sia creare problemi all’interno dell’UE.

Così le retoriche nazionalistiche tornano di nuovo nella polveriera balcanica e accendono gli animi di quei popoli che da sempre sono in lotta tra loro. Il rischio è quello di aprire nuove occasioni di violenza in nome dell’identità nazionale.

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