Amarcord: Alviero Chiorri, l’anarchico che giocava per i tifosi

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“Alviero, sei tu il nostro straniero”. Recitava così lo striscione più celebre dei tifosi della Sampdoria per Alviero Chiorri, mezzala di grande talento che tra la fine degli anni settanta e la fine degli ottanta ha deliziato l’Italia con giocate sopraffine che hanno fatto innamorare i tifosi e fatto ammattire gli allenatori che ne apprezzavano la fantasia ma non i comportamenti. Un calciatore dalla testa matta, si direbbe, una storia che col mondo del calcio sembra avere poco a che fare.

Alviero Chiorri nasce a Roma il 2 marzo 1959 e calcisticamente cresce nella Pro Roma, società giovanile della periferia capitolina: è un attaccante di movimento, agisce sia da mezzala che da seconda punta, ha un talento spropositato, tutto mancino, col suo sinistro sa disegnare parabole imprendibili per i portieri, tanto su calcio piazzato che in movimento, i capelli ricci e il look da ribelle. Lo nota la Sampdoria che lo acquista e lo inserisce nel suo settore giovanile con cui il piccolo Alviero conquista anche il prestigioso Torneo di Viareggio. Il tecnico doriano, il sergente di ferro Eugenio Bersellini, intuisce le qualità del ragazzo e lo lancia nel grande calcio, anche se gli scontri col giovane ribelle non mancano: Chiorri è un ragazzino un po’ troppo esuberante, è una sorta di rivoluzionario, una faccia da schiaffi che non si mette paura di nulla e che non ama le regole, un atteggiamento che un rigido come Bersellini proprio non gradisce. Alla presentazione della squadra prima dell’inizio della stagione, l’intera rosa della Sampdoria si presenta in tenuta ufficiale, giacca, cravatta, tutti tirati a lucido per le foto della stampa e le interviste coi giornalisti; Alviero Chiorri, invece, si presenta in sede conciato diversamente: canotta, bermuda e sandali da mare, viso abbronzato e tre vistosi orecchini ai lobi che non passano inosservati nè ai cronisti e nè a Bersellini che lancia al suo calciatore occhiatacce severissime. In più, il ribelle talento romano dice un paio di battute a favore della legalizzazione delle droghe leggere e dell’uso innocuo che se ne potrebbe fare. Apriti cielo, l’Italia bacchettona esce tutta allo scoperto, additando Chiorri come un rivoluzionario mezzo matto, mentre la Sampdoria e Bersellini non la prendono granchè bene, ma sono convinti di raddrizzare presto quel diciassettenne così impunito. Si sbagliano.

Chiorri esordisce in serie A il 3 ottobre 1976 durante Torino-Sampdoria, perchè sarà pure uno scavezzacollo, ma è un calciatore di qualità suprema. Il campionato 1976-77 culmina con la retrocessione dei doriani, ma il ragazzino è uno dei pochi a salvarsi, a neanche diciott’anni segna 2 reti in serie A; la società blucerchiata lo tiene in rosa per altri 4 anni in cui il ragazzino cresce, sforna assist e fa anche qualche gol, palesando però sempre una discontinuità latente e qualche bizza troppo, come quando la nazionale juniores lo convoca per i mondiali di categoria in Tunisia, ma lui risponde che non ha nessuna intenzione di andarci, preferisce partire per le vacanze al mare con gli amici; da allora nessuna nazionale lo chiamerà più. Dopo un anno in prestito al Bologna, Chiorri viene convocato dal presidente della Sampdoria, Paolo Mantovani: il dialogo è breve, il patron sampdoriano è assai chiaro: “Alviero, sei la più grande delusione della mia vita. Puntavo molto su di te, non hai mantenuto le promesse, sei bravo ma il calcio ad alti livelli è un’altra cosa, per cui ti cedo, vai alla Cremonese”. La Sampdoria ha concluso l’affare per portare Gianluca Vialli da Cremona a Genova, i lombardi chiedono in cambio Chiorri che accetta e trova la città che fa per lui, ma soprattutto un presidente che è un papà, Domenico Luzzara, artefice della Cremonese più gloriosa della storia. E’ l’estate del 1984 e il pubblico della Cremonese conosce un calciatore che per la tranquilla città del Po non era finora mai passato. Chiorri è estroso, talentuoso, le sue finte e i suoi dribbling fanno innamorare e ribollire il piccolo stadio Zini; lui è contento così, dice: “Io non gioco che per far divertire la gente, godo quando il pubblico mi applaude ed osanna le mie giocate, faccio apposta tanti dribbling”. Fa parlare di sè l’attaccante romano, gioca coi calzettoni abbassati fino alle caviglie e la maglietta fuori dai pantaloncini, ma soprattutto indossa gli scarpini spaiati: quello sinistro è perennemente più leggero, 13 tacchetti in gomma, mentre il destro è sempre nella versione invernale con 6 tacchetti in ferro. Perchè? Per avere il piede mancino libero di esprimersi in tutto il suo talento e mantenere il destro (quello d’appoggio) ben saldo e piantato per terra.

Gli anni di Cremona sono un continuo saliscendi fra serie A e serie B, compresa la stagione 1988-89, la più difficile della carriera di Alviero Chiorri. La Cremonese è in serie B, ma è chiaro a tutti che a fine stagione sarà promossa; Chiorri è però estraneo al trionfale campionato dei grigiorossi, è depresso, svogliato e sfiduciato, il pallone non lo diverte più, in allenamento litiga con tutti, spesso sbatte la porta dello spogliatoio e se ne va. Gli consigliano psicanalisi e farmaci, lui inizialmente rifiuta, poi accetta; la cura di cortisone lo fa aumentare di oltre 10 kg, è fuori squadra e passa le sue giornate a casa a fissare il vuoto. La stagione della Cremonese, neanche a farlo apposta, segue la scia del suo talento più puro: i lombardi perdono punti e si fanno rosicchiare tutto il vantaggio dalla Reggina, tanto che le due squadre arrivano allo spareggio: a Pescara, Cremonese e Reggina si giocano la promozione in serie A. I grigiorossi sono in difficoltà, i calabresi hanno tutto da guadagnare e allo stadio Adriatico arrivano migliaia di tifosi per sostenere gli amaranto; il tecnico della Cremonese, Bruno Mazzia, richiama ed arruola nuovamente Chiorri: “Ci serve il tuo aiuto”, gli dice; l’attaccante romano, nonostante la precaria condizione fisica, parte per Pescara. La sfida è tirata e finisce ai calci di rigore: Chiorri va sul dischetto, guarda il portiere fisso e poi calcia uno dei rigori peggiori della sua carriera, considerando anche il talento, la palla va fuori lentamente, lui è disperato, si allontana verso il centro del campo quando vine raggiunto dal portiere Rampulla che lo rassicura: “Ora ci penso io”. E così è: a forza di prodezze, l’estremo difensore grigiorosso rimette tutto a posto, poi Attilio Lombardo mette dentro il rigore decisivo e la Cremonese torna in serie A.

La carriera di Chiorri subisce un rallentamento nonostante il calciatore abbia solo 30 anni: la Cremonese ha acquistato l’attaccante argentino Dezotti a cui affianca il paraguayano Neffa, mentre Chiorri finisce in panchina ed entra di tanto in tanto, sempre fra l’ovazione dei tifosi. La stagione 1991-92 è l’ennesima agrodolce per i lombardi: tornati in serie A, la massima divisione si rivela troppo complicata per la squadra ora guidata da Giagnoni che si ritrova con un piede in B già a metà torneo. La retrocessione arriva inevitabilmente, ma l’ultima giornata di campionato, domenica 24 maggio 1992, si gioca Sampdoria-Cremonese, una partita che per le due squadre non conta nulla coi doriani delusi da un campionato di basso profilo dopo lo scudetto dell’anno precedente e scottati dalla finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley contro il Barcellona, e coi grigiorossi affranti da un’altra mancata salvezza. Ma per Alviero Chiorri la partita è importantissima, è la sua sfida del cuore, quella fra la squadra che lo ha lanciato in serie A a 17 anni e quella che lo ha adottato. Il pubblico di Marassi lo acclama come un eroe, lui segna anche un gol su calcio di rigore, la partita termina 2-2 e Chiorri a fine gara annuncia: “Smetto col calcio, ho preso questa decisione all’intervallo, è giusto così ed è giusto finire dopo Sampdoria-Cremonese”.

E smette davvero Chiorri, chiude col calcio giocato e sparisce dai radar del grande schermo. Un’estate va in vacanza a Cuba e ne resta affascinato, tanto che dopo una sosta di 15 giorni a L’Avana, qualche mese dopo torna nel paese centroamericano e ci resta alcuni mesi, infine nel 1994 si stabilisce definitivamente in questo paese pieno di sole, di spiagge e di mare, conosce una donna da cui ha un altro figlio, il secondo della sua vita dopo quello avuto con la moglie in un matrimonio poi fallito. Chiorri dal 1994 vive a Cuba, lontano dai riflettori, lontano dal calcio, dice di seguire solo le partite della Sampdoria ma di non appassionarsi al pallone moderno, troppo noioso e troppo poco pieno di talenti. La faccia perennemente abbronzata, i capelli lunghi, tinti di biondo e legati da un vistoso codino, la barba incolta e un immancabile cocktail fra le mani: questo l’Alviero Chiorri post calcio, uno che si è goduto la vita prima e che continua a farlo anche dopo, e alla domanda: “Cosa fai a Cuba per vivere?”, lui risponde con un sorriso: “Nulla, ozio”. Anarchico, ribelle, anticonformista: non avrebbe avuto nulla del calciatore se solo non fosse stato dotato di un talento immenso, riconosciuto dai suoi vecchi allenatori che ne parlano con rimpianto ma con gli occhi che brillano: “Era certamente più bravo di Roberto Mancini, almeno tecnicamente”, ricorda Renzo Ulivieri, tecnico dei due ai tempi della Sampdoria; il talento non basta, eppure ancora oggi chiunque parli di Alviero Chiorri non può che avere un tuffo al cuore.

di Marco Milan

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