Formula 1: Nico Rosberg e un addio inaspettato ma intelligente
Neanche il tempo di aggiornare le statistiche ed aggiungere il sorriso da bravo ragazzo di Nico Rosberg all’elenco dei piloti di Formula 1 campioni del mondo, che il neo iridato combina a tutti lo scherzetto inatteso, il colpo che a prima vista fa sobbalzare e chiedere: “Come?”. Già, Nico Rosberg vince il mondiale di Formula 1 2016 e il giorno dopo annuncia il suo ritiro dalle corse. Possibile? Sì. Perchè?
Perchè Rosberg, 32 anni il prossimo giugno, ha capito di aver speso ogni goccia di energia, sudore e concentrazione per coronare il suo sogno di bambino: vincere il titolo di Formula 1 come suo papà, Keke, che riuscì nell’identica impresa nel 1982 quando Nico non era neanche nato. Ha corso col numero di suo padre, il 6, ha mandato giù bocconi amarissimi, per anni è stato definito figlio di papà e raccomandato solo perchè correva con licenza tedesca pur essendo finlandese cresciuto a Montecarlo, e perchè parlava (e parla) cinque lingue, il tutto senza vincere niente, o meglio, vincendo qualche gara ma solo perchè il suo sedere era collocato sull’invincibile ed inarrivabile Mercedes, la macchina che ha monopolizzato gli ultimi tre anni di Formula 1. Certo, nulla a che vedere col compagno rivale Lewis Hamilton che di bastonate al povero Rosberg ne ha suonate sin dall’infanzia quando i due si sfidavano sui kart; quello stesso Hamilton già campione del mondo nel 2008 e ripetutosi nel 2014 e nel 2015 con Rosberg a fargli da scudiero, da secondo. Ma secondo a chi? Quante volte se lo sarà ripetuto il tedesco prima di addormentarsi, pensando che Hamilton, in fondo in fondo, qualche difettuccio dovesse pur averlo. La svolta arriva negli Stati Uniti, ad Austin, nell’autunno del 2015 quando Hamilton festeggia il suo terzo titolo mondiale, il secondo consecutivo, e nel dopogara lancia un cappelletto da baseball addosso a Rosberg che nel frattempo è lì seduto a rimuginare sul secondo campionato lasciato al compagno di squadra e su quegli inevitabili commenti della gente: “Rosberg? Bravo, si, però Hamilton….”. Un cappelletto lanciato forse con sdegno dall’inglese che magari invece voleva solo essere affettuoso dando a Rosberg un’ipotetica pacca sulle spalle. Eppure il gesto ha innervosito il collega che, stizzito, glielo ha rilanciato addosso.
Da lì Rosberg si è trasformato: ha vinto le ultime gare del 2015, poi le prime 4 del 2016, apparendo sicuro e determinato. Voleva il titolo ad ogni costo, ha sgomitato con Hamilton senza mai alzare il piede dall’acceleratore, come fatto invece nel 2014 quando aveva dilapidato il vantaggio in classifica accumulato in estate con una tattica remissiva in autunno lasciando strada e punti al britannico. Poi ha gestito, specialmente alla fine quando Hamilton lo azzannava rabbiosamente in classifica: nelle ultime tre gare a Rosberg servivano solo piazzamenti sul podio e li ha ottenuti, saltando fuori dalla macchina negli Emirati Arabi urlando finalmente: “Campione del mondo”. Ancora non sapeva che quello sarebbe stato il suo ultimo urlo in Formula 1. O forse si? Difficile dirlo, di certo Rosberg all’indomani del trionfo ha iniziato a chiedersi cosa lo potesse ancora spingere a 32 anni dopo aver ottenuto ciò che voleva, ciò che ha inseguito con tenacia e sofferenza. Nico Rosberg non è uno Schumacher, un Valentino Rossi, non è neanche un Hamilton, gente che più vince e più vuole vincere, gente che vive per battere ogni record, che studia minuziosamente il primato che non ha ancora superato. Rosberg è un ragazzo più tenero, voleva imitare quel papà che ha sacrificato il proseguimento della sua carriera per dedicarsi alla formazione di quel figlioletto che un giorno sarebbe dovuto diventare campione del mondo come lui. Una storia dolce, un’educazione amorevole, meno brutale di quella della famiglia Agassi, col papà tennista che pretendeva il figlio tennista, seppur con lo stesso fine: far diventare il rampollo di casa un campione.
Rosberg ha detto basta dopo 10 anni di carriera in Formula 1 con 206 gran premi disputati, 23 vittorie e 30 pole position, oltre al titolo mondiale di Gp2 vinto nel 2005, preludio al debutto nella disciplina madre dell’automobilismo. Ha detto basta, soprattutto, dopo un mondiale che lo ha prosciugato, ha detto basta quando non se lo aspettava nessuno, ma nel modo migliore, prima cioè di essere trattato come quello che ha vinto una volta per sbaglio, come quello che ha vinto quando Hamilton si è addormentato, come il numero 2 che una tantum ha battuto il numero 1. Rosberg lascia la Formula 1 da campione del mondo, questo conta, questo voleva, questo rimarrà negli annali; del resto lo ha fatto Prost, lo ha fatto Mansell: la buona compagnia a Rosberg, insomma, non mancherà di certo neanche da giovane pensionato di lusso. Ora non importa chi salirà sulla Mercedes nel 2017 accanto ad Hamilton: che sarà Alonso o Werlhein, Bottas o Perez, Vettel o Button, ha poca importanza al momento; il governo è caduto, di questo si parla. Per le consultazioni, c’è ancora un po’ di tempo.
di Marco Milan