Fidel Castro. Dopo la morte del discusso lidèr, che sarà di Cuba?

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Fidel castro. L’eredità di un lidèr amato e odiato. “Sarà la storia a giudicare” ha detto Obama. E il futuro dell’isola dipenderà molto proprio dagli Stati Uniti del presidente eletto Trump.

Il dio del comunismo, intanto, contempla da oggi il tabernacolo vuoto del castrismo. Riuscirà a sopravvivere, fuoriuscendo da se stesso nell’ultima metamorfosi che Fidel aveva sempre esorcizzato? Più probabile che il sistema crolli per estenuazione, senza più l’anima fondatrice del vecchio dittatore. Che muore — singolare destino — insieme con il Novecento che era durato fin qui con le sue guerre ideologiche, ed è venuto a finire proprio nell’isola comunista, in questo tramonto tropicale dell’autunno 2016: altro che secolo breve.

Ezio Mauro commenta così, su Repubblica.it, la fine di Fidel Castro, l’ex presidente cubano, comandante in capo della Rivoluzione Cubana morto alle età di 90 anni alle 22.29 del 25 novembre del 2016. Malato, aveva delegato il potere al fratello Raul definitivamente nel febbraio 2008.

Con la sua morte, l’era di Fidel è quasi al capolinea. Per Cuba si sta delineando una fase di transizione verso un percorso di stampo “raulista”, caratterizzato da una serie di timide riforme economiche (liberalizzazioni) e politiche (nel senso di rinascita democratica del Paese la cui guida resta tuttavia, nelle mani del Partito comunista). Tuttavia, il rischio è che all’Avana si instauri una forma riveduta e corretta del “modello cinese” ossia un’economia di mercato in un sistema politico illiberale.

Eroe per gli amici, dittatore per i nemici. Questo è stato Fidel Castro da quel 1959 anno in cui liberò Cuba (insieme a Ernesto Che Guevara) dalla dittatura del generale Fulgencio Batista per instaurare una democrazia popolare sul modello di quella sovietica. Fino al trionfo della “revolucion”, l’isola dipendeva dagli scambi commerciali con Washington. Dopo la presa del potere di Fidel, il paese è divenuto terreno di scontro principale tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante e dopo la Guerra Fredda.

Cuba è riuscita a resistere al duro embargo americano e al tentativo fallito di “golpe” – quello della Baia dei Porci – organizzato dalla CIA con alcuni esuli cubani. E’ stata al centro della crisi dei missili nel 1962, dove la fermezza castrista ha rischiato di trascinare il mondo nella terza guerra mondiale.

Fidel è stato per decenni il nemico principale di Washington, per la sua dipendenza dall’Urss e per il sostegno ai movimenti marxisti e le guerriglie in America Latina ed in Africa, diventando tra i leader del movimento dei Paesi non Allineati. Il sistema politico cubano è riuscito a resistere alla disintegrazione socialista e al crollo dell’Urss nel ’91.

La notizia della morte di Fidel ha subito fatto il giro del mondo suscitando reazioni contrapposte. Per molti, è l’uomo che ha segnato la storia di Cuba per quasi sessant’anni, icona della politica della sinistra radicale nel mondo intero, colui che i media a L’Avana si impegnano a difendere assieme alla “La ‘Revolucion che Castro ha costruito insieme ai poveri della sua terra”. Per altri, un dittatore. Per le strade di Little Havana a Miami si sono viste scene di gioia e voci contro. È la reazione prevedibile degli anticastristi della comunità cubana statunitense per i quali la morte di Fidel segna “la fine di un capitolo orribile”.

Papa Francesco ha parlato di “triste notizia” mentre Obama preferisce lasciare alla storia il compito di “giudicare l’enorme impatto di questa singolare figura sulla gente e sul mondo attorno a lui”. Toni decisamente meno “diplomatici” quelli usati dal presidente eletto Donald Trump “Oggi il mondo segna la scomparsa di un dittatore brutale che ha oppresso il suo popolo per quasi sei decenni […] Mentre Cuba rimane un’isola totalitaria, è nelle mie speranze che la giornata di oggi segni il suo distacco dagli orrori sopportati troppo a lungo e verso un futuro in cui il magnifico popolo cubano viva finalmente nella libertà che merita”.

Dall’America latina si sono fatte sentire le voci di dolore del presidente messicano Pena Nieto (“È morto un amico”), del presidente dell’Ecuador Rafael Correa (“Viva Cuba, viva l’America Latina”) e di quello del Venezuela Nicolas Maduro “All’immortalità di coloro che lottano tutta la vita… Fino alla vittoria, sempre”. Tra i leader europei, il francese Francois Hollande “Ha incarnato la rivoluzione cubana […] Attore della guerra fredda che sapeva rappresentava per i cubani l’orgoglio del rifiuto della dominazione straniera […] Bisogna togliere l’embargo a Cuba perché possa pienamente essere parte della comunità internazionale come partner”, mentre il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha commentato così la morte del leader cubano “Il mondo ha perso un eroe per molti”. Il nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha invece twittato “Si chiude una pagina grande e drammatica del Novecento. Vicini al popolo cubano”. Poi Vladimir Putin “Simbolo di un’epoca” e il dittatore nordcoreano Kim Jong-un “Castro era il leader supremo della rivoluzione cubana e un vero leader del popolo che eccelse per la sua dedizione al popolo cubano e nel perseguimento della prosperità della nazione e della felicità della gente”.

Cuba ha proclamato 9 giorni di lutto nazionale. In attesa dei funerali, che si celebreranno il 4 dicembre, l’incognita principale che pende sul futuro dell’isola caraibica è il rapporto con Washington. Il disgelo tra Stati Uniti e Cuba e l’embargo ridimensionato ma non eliminato da Obama, rappresentano uno dei temi più caldi della politica estera del presidente eletto Donald Trump.

E la morte di Fidel Castro arriva proprio nella fase di cambio del vertice alla Casa Bianca, con Trump che minaccia di annullare gli sforzi fatti dall’amministrazione Obama per avvicinare Stati Uniti e Cuba. Nel 2015 – grazie all’accordo per la ripresa delle relazioni diplomatiche raggiunto da Obama e Raul Castro dopo mesi di negoziati segreti sponsorizzati da Papa Francesco e dal governo canadese – era stata raggiunta l’intesa per la revoca del “bloqueo”. Poi, nel marzo 2016, la visita di Obama a Cuba. L’accordo sull’embargo è ancora fermo al Congresso americano (a maggioranza repubblicana) per la ratifica.

Dopo l’avvio del disgelo, con gradualità le aziende americane – a lungo tenute fuori dal mercato cubano – hanno cominciato a volgere lo sguardo verso L’Avana: dalle compagnie aeree che hanno inaugurato rotte verso l’Avana, alle aziende telefoniche che hanno firmato accordi di roaming, dalle grandi catene alberghiere (Marriot) che hanno avviato joint ventures per gestire alcuni alberghi locali, alle navi crociera che hanno cominciato a salpare verso i porti cubani.

Ma Trump ora si troverà tra la scelta di estendere gli investimenti statunitensi verso un nuovo e profittevole mercato (Cuba, appunto) e l’impegno politico (assunto durante la campagna elettorale che lo ha decretato vincitore) verso la forte lobby degli esuli cubani (anticastrista), che lo ha aiutato a conquistare i 29 Grandi Elettori in Florida e che chiede di mantenere l’impegno di “far marcia indietro sugli ordini esecutivi di Obama”: “Le concessioni dell’amministrazione Obama possono essere facilmente riviste”.

E nel peggiore dei casi, cosa potrebbe decidere Trump? Potrebbe innanzitutto declassare la rappresentanza diplomatica all’Avana (da Ambasciata a “Sezione di Interessi degli Stati Uniti’”), limitare i viaggi dei cittadini americani verso l’isola, penalizzare le aziende che fanno affari con Cuba, limitare l’immigrazione verso gli Usa, decidere nuovi limiti all’import di sigari e rum e mantenere (se non rafforzare) l’embargo.

(di Alessandra Esposito)

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