Trump-Hillary: colpi bassi e pochi contenuti. Vince la Clinton
Secondo e penultimo dibattito prima dell’election day dell’8 novembre. Dominano l’incontro, il video sessista di Trump e lo scandalo email della Clinton
Domenica sera (le 3 del mattino in Italia) si è svolto a St. Louis (Missouri) il dibattito tra Donald Trump e Hillary Clinton, il secondo dei tre previsti prima dell’election day dell’8 novembre. Si è trattato dell’evento più twittato della storia: superati i 17 milioni di tweet del primo incontro.
Il primo dei tre dibattiti si era svolto il 26 settembre scorso e secondo molti commentatori, era stato vinto, seppure in maniera modesta, dalla candidata democratica. In quell’occasione non era emerso nulla di particolarmente rilevante. Nei giorni successivi, la Clinton aveva aumentato il proprio distacco mentre il dibattito del 4 ottobre tra Pence e Kaine non aveva contribuito, come da tradizione, a un cambiamento significativo nelle intenzioni di voto.
Dal canto suo Trump, sta affrontando una perdita significativa di consenso. I motivi sono diversi: dalle rivelazioni riguardo a possibili evasioni fiscali, allo “scandalo Machado” conseguente alle esternazioni offensive sull’aspetto fisico di una ex miss Universo di origine venezuelana. Inoltre, 30 ex deputati e senatori repubblicani hanno firmato una lettera aperta nella quale invitano gli elettori a non votare per Trump.
Svoltosi nella forma di un town hall meeting (al centro di una specie di anfiteatro per interagire con i moderatori e rispondere alle domande del pubblico), il dibattito del 9 ottobre sera non prevedeva argomenti prestabiliti (come invece era stato per il primo dibattito). Questo format solitamente avvantaggia i leader più carismatici (vedi Bill Clinton e Barack Obama) mentre la Clinton non brilla per carisma ed empatia e Trump si mostra spesso aggressivo, brusco e incapace di gestire situazioni di forte pressione. Tuttavia, se è vero che Trump se l’è cavata meglio rispetto al primo incontro televisivo, un sondaggio a caldo della CNN dà a Hillary Clinton il 57% delle preferenze.
Trump e lo scandalo dei commenti sessisti
I giorni precedenti il dibattito sono stati molto “incandescenti” per il candidato repubblicano a causa della diffusione – da parte del Washington Post – di un video del 2005 in cui Trump si lascia andare a commenti sessisti e volgari contro le donne. Uno scandalo che ha suscitato molte reazioni. Durissima la dichiarazione del candidato repubblicano alla vicepresidenza, Mike Pence: “Come marito e come padre mi sento offeso dalle parole e dalle azioni descritte da Donald Trump nel video 11 anni fa. Non posso tollerare o giustificare le parole di Donald Trump sulle donne e non posso difenderlo”. Pence poi ha sottolineato come siano state positive le scuse che il tycoon ha fatto al popolo americano. Anche Melania, la moglie di Trump, ha condannato le parole del marito definendole “inaccettabili ed offensive” ma invitando gli americani ad accettare le sue scuse perchè “Non rappresentano l’uomo che conosco”. Infine, anche molti repubblicani di spicco che lo sostenevano hanno riturato il loro sostegno al candidato GOP: dal senatore John McCain, all’ex segretario di Stato Condoleeza Rice e all’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger.
Il confronto-dibattito
Molti i colpi bassi e pochi i contenuti durante il dibattito del 9 ottobre. Insulti e persino minacce (Trump che promette che se diventerà presidente, metterà la Clinton sotto inchiesta per le email private). Federico Rampini su Repubblica.it di scrive: “Prima conclusione. La democrazia americana è malata […] La delegittimazione reciproca è totale. E’ difficile ritrovare nel passato recente un simile livello di animosità, di disprezzo, di insulto”.
La prima mezz’ora del dibattito è stata dedicata alla notizia di questi giorni, il video sessista del 2005 con un infuocato botta e risposta tra i due candidati. Trump ha tentato di minimizzare il contenuto del video, dicendo che erano solo “chiacchiere da spogliatoio”, che non ne è orgoglioso e che si è già scusato con la propria famiglia e con il popolo americano. Ha poi accusato Bill Clinton di “cose ben peggiori”. “Le mie sono parole, le sue sono state azioni. Non c’è stato nessuno nella storia della politica di questa nazione che è stato così violento”, attaccando la stessa Clinton, colpevole di avere preso di mira le accusatrici del marito per gli abusi sessuali.
Poi, il commento della Clinton: “Sarò anche stata in disaccordo con i precedenti candidati repubblicani, ma non ho mai messo in dubbio la loro adeguatezza ad essere presidenti. Non è così per Trump. Quello che abbiamo visto e sentito venerdì era Donald che parlava delle donne, cosa pensa delle donne, cosa fa alle donne. E ha detto che quel video non rappresenta chi è veramente. Secondo me rappresenta esattamente chi è”.
Poi i due candidati sono passati a parlare dei temi seri e reali del Paese e lo hanno fatto in maniera prevedibile.
In primo luogo, si è discusso di fisco. Trump vuole ridurre le tasse come fecero Reagan e George W. Bush, cioè abbassando soprattutto la pressione fiscale sulle imprese, quindi indirettamente sui loro azionisti (è la teoria del “trickle down”: i benefici economici elargiti a vantaggio dei ceti abbienti – in termini di alleggerimento dell’imposizione fiscale – favoriscono l’intera società). La Clinton lo ha accusato di fare “gli interessi di Donald” e ha rilanciato le sue proposte di una stangata sui super-privilegiati, una minimum tax del 30% per chi guadagna più di un milione lordo all’anno (Buffett Rule) e un’altra sovratassa sui redditi oltre i 5 milioni.
In secondo luogo, si è parlato di energia e ambiente. Secondo Trump le politiche ambientaliste di Obama-Clinton hanno “distrutto l’industria energetica americana” e la Clinton ha ribattuto che il paese ha quasi raggiunto l’autosufficienza e non importa più petrolio dal Medio Oriente, promettendo di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili, per fare dell’America “la superpotenza verde del XXI secolo”.
Poi, attacco di Trump a Hillary sul Medio Oriente che, dopo 8 anni di politica estera democratica, è un disastro. E sulla Siria, il tycoon ha sorpreso i commentatori dicendo di non essere d’accordo con il suo vice Mike Pence sulla strategia da seguire. Pence aveva dichiarato di voler colpire Assad con i bombardamenti mentre per Trump la priorità è distruggere l’Isis (e Assad, la Russia e l’Iran stanno aiutando in questo, secondo il candidato GOP).
Trump è tornato nuovamente sullo scandalo dell’emailgate, con Hillary che ha ribadito essere stato un errore che non rifarebbe e con Trump che ha promesso: “Se sarò eletto presidente ordinerò al segretario del dipartimento di Giustizia di iniziare un’inchiesta” su di lei e “nominerò un procuratore speciale” chiamato a scoprire cosa è successo alle 33.000 email cancellate da Hillary.
Sulla riforma sanitaria di Obama, Trump ha risposto: “Dobbiamo cancellarla e sostituirla con un piano meno costoso e che funzioni” e Hillary “Bisogna tenere i costi bassi ma anche estendere l’assistenza sanitaria”.
Sull’islamofobia, Trump ha riconosciuto essere un problema, ribadendo però la necessità che la comunità islamica sia più pronta a denunciare i “terroristi islamici” mentre la Clinton ha definito il razzismo di Trump “di vedute ristrette e pericoloso” oltre che controproducente se si vuole che i musulmani in America e in Medio Oriente siano degli alleati nella lotta contro “gli estremisti violenti e jihadisti”.
Stretta di mano finale e “belle” parole quando un membro del pubblico ha chiesto di dire qualcosa di positivo l’uno dell’altro. Clinton ha evitato di lodare direttamente l’avversario: “Rispetto i suoi figli, sono capaci e fedeli e credo che ciò dica molto di Donald” ma “la posta in gioco è alta, non siamo in tempi normali e questa non è una campagna elettorale normale”. Trump invece non ha esitato a riconoscere in Hillary una “lottatrice” che “non molla mai, non si arrende mai. Lo rispetto. Dico le cose come stanno”.
Verso l’election day
Prossime tappe prima dell’election day dell’8 novembre: il terzo e ultimo dibattito si terrà il 19 ottobre a Las Vegas (Nevada). Il 4 ottobre si terrà a Farmville (Virginia) il confronto tra i candidati alla vicepresidenza, Mike Pence per i Repubblicani e Tim Kaine per i Democratici. É bene ricordare che l’8 novembre gli americani non solo eleggeranno il nuovo presidente ma anche parte dei loro rappresentanti nei due rami del Congresso, dal 2015 controllati dai Repubblicani. Indipendentemente dall’elezione del presidente, si prevede che la Camera resti in mano al partito Repubblicano. Per ribaltare la situazione i Democratici dovrebbero guadagnare 30 seggi. Il che appare irrealistico. Giochi aperti per il rinnovo del Senato, dove è possibile che i Democratici tornino ad avere la maggioranza.