La morte di nuovo in campo: la Romania piange Patrick Ekeng

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Il calcio romeno in lutto per la morte in campo di Patrick Ekeng, ultimo di una lunga lista di ragazzi che hanno perso la vita inseguendo un pallone e i loro sogni.

patrick-ekeng-morto-646x381Liga I, prima divisione del calcio professionistico romeno: in un tranquillo venerdì sera di inizio maggio, Dinamo Bucarest e Viitorul disputano l’ultima gara della stagione. La gara, ininfluente ai fini di una classifica che ormai non ha più nulla da nascondere, è scoppiettante e ricca di emozioni: la Dinamo passa in vantaggio, subisce il sorpasso ospite ma riesce, nella ripresa ad effettuare il controsorpasso e a portarsi sul 3-2. Forte del vantaggio regalato dall’ultimo controsorpasso Mircea Rednic, tecnico della Dinamo, fa alzare dalla panchina Patrick Ekeng, centrocampista camerunense alla prima stagione in Romania che al minuto 63 sostituisce Eric Bicfalvi. Nulla fa presagire il disegno di un destino bastardo, che di li a poco sconvolgerà le sorti della gara e non solo: al minuto 69, con il gioco stagnante in area di rigore, il neo-entrato Ekeng crolla improvvisamente al suolo, tra lo stupore degli atleti in campo e il respiro trattenuto dal pubblico sugli spalti. In campo ci si rende subito conto della gravità dell’infortunio, avvenuto a palla lontana e senza alcun contrasto, che induce il direttore di gara ad invocare l’immediato ingresso sul terreno di gioco dei soccorsi.

I sanitari entrano prontamente in campo tra gli sguardi attoniti e disperati di compagni ed avversari di Ekeng, portato d’emergenza in ospedale; invano purtroppo, perché dopo una lunga serie di tentativi di rianimare il centrocampista africano Ekeng si arrende all’infarto che l’ha colpito sul rettangolo di gioco mentre viene portato via in ambilanza, incredibilmente, la partita viene portata avanti fino al fischio finale, chiudendosi sul 3-3.

La morte torna quindi ad affacciarsi su un rettangolo verde destinato al gioco del calcio, con una dinamica che a noi italiani ricorda terribilmente il tragico pomeriggio pescarese del 14 Aprile 2012, quando all’Adriatico di Pescara un attacco di cuore tolse la vita a Piermario Morosini. Ultimo nome di una lista che, soffermandoci solamente al calcio moderno, è tristemente lunga: Marc Antoine Foè, Miklos Feher, Antonio  Puerta, Piermario Morosini e Daniel Jarque, solamente per citarne alcuni. Ragazzi che, rincorrendo il sogno di una vita, hanno perso la vita su di un campo di calcio, lasciando spazio dopo il dolore e lo sgomento ad un nugolo di polemiche spesso tanto fitto quanto infruttuoso nel momento in cui si parla di responsabilità. Solamente il tempo, nonché le indagini del caso, chiariranno se la morte di Ekeng è da ascriversi solamente ad un ingiusto destino, oppure no; quel che è certo che è che nel calcio dei petrol-dollari, delle sponsorizzazioni milionarie e del calcio trascinato in ogni angolo di mondo, il controllo sulla salute degli atleti non può rivelarsi deficitario come emerso in passato con riferimento, ad esempio, alla scomparsa di Antonio Puerta.

O ancora, basti pensare all’interista mancato Khaliou Fadiga, che dopo un Mondiale da assoluto protagonista vissuta con la maglia del Senegal si vide negare l’idoneità dallo staff sanitario nerazzurro a causa  di alcuni problemi cardiaci (tra l’altro poi superati, con il senegalese che a dispetto dei consigli dei medici portò a termine una carriera protrattasi per altre sette stagioni).

Come da cattiva prassi, piuttosto diffusa, spesso e volentieri ci si mobilita su una determinata problematica solamente nel momento in cui “ci scappa il morto”, o comunque esplode una criticità; tralasciando la pur possibile fatalità, è il momento del rilascio dell’idoneità agonistica a diventare fondamentale per prevenire (o perlomeno cercare di farlo) il verificarsi di tragedie come quella di Ekeng. Come anticipato, solamente le verifiche del caso permetteranno di accertare eventuali le eventuali negligenze sanitarie che hanno portato alla scomparsa di un giovane di ventisei anni (transitato tra l’altro, prima di arrivare in Romania, in Spagna e Francia) cresciuto con il sogno di tutti i bambini, quello di fare il calciatore. E, nonostante faccia piacere pensare che Patrick, come Morosini, Puerta e via discorrendo, oggi possa giocare serenamente a pallone in un posto infinitamente più bello del caotico mondo che viviamo, la speranza è che a scene del genere non si debba assistere mai più.

di Michael D’Costa

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