Amarcord: la Stella Rossa campione d’Europa e l’ultimo sussulto della Jugoslavia

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Uno dei luoghi comuni di cui il calcio abusa più frequentemente è quello legato alla Jugoslavia: si dice, infatti, che se l’ex repubblica balcanica fosse stata unita e non divisa in etnie e popoli che non si amavano fra di loro, avrebbe vinto tantissimo, soprattutto con la nazionale. E in effetti, considerando i talenti, la Jugoslavia ha portato a casa il classico pugno di mosche, anche nelle occasioni in cui partiva come favorita; stesso discorso per i club, non sempre all’altezza della situazione nelle coppe europee. La Stella Rossa Belgrado, però, ha provato ed è riuscita ad invertire la tendenza proprio nel momento finale, in uno degli ultimi atti della vita calcistica jugoslava.

Già nel 1990 la situazione in Jugoslavia è tutt’altro che serena: i primi sintomi della sanguinosa guerra civile che si sivilupperà e concentrerà fino a due anni dopo iniziano a sentirsi, i primi stati che poi diventeranno indipendenti stanno già affilando le armi. Il calcio prova ad estraniarsi dall’imminente conflitto e ai mondiali d’Italia i nazionali slavi fanno una bella figura passando il primo girone, superando la Spagna agli ottavi di finale e cedendo ai quarti all’Argentina solo dopo i calci di rigore. All’inizio della stagione 1990-91, poi, una delle formazioni più attraenti d’Europa è la Stella Rossa di Belgrado, squadra che ha vinto l’ultimo campionato jugoslavo e che annovera fra le sue fila talenti slavi del calibro di Dejan Savicevic, Darko Pancev, Robert Prosinecki e il giovanissimo regista Vladimir Jugovic di cui si innamora mezzo continente. Proprio in quell’estate la Stella Rossa ha ceduto al Marsiglia la mezz’ala Dragan Stojkovic, uno dei simboli storici della squadra, nell’ultimo anno molto in calo anche per fastidiosi guai fisici. L’allenatore è Ljupko Petrovic, il quale dichiara apertamente che la sua squadra può reggere il confronto con chiunque in Europa, punta alla vittoria in campionato e a valorizzare ancora di più i talentuosi gioielli di casa; il tecnico jugoslavo, poi, avrebbe voluto anche rinforzare l’organico con un altro centrocampista giovanissimo, un mancino tutto potenza e carattere che proprio assieme a lui ha vinto due anni prima lo scudetto jugoslavo con la maglia del Vojvodina, un outsider del campionato: Sinisa Mihajlovic. Il Vojvodina, però, ha risposto picche e la stagione inizia per la Stella Rossa senza il mago delle punizioni dal carattere duro. L’avventura in Coppa Campioni è il grande sogno dei tifosi della Stella Rossa, scottati nell’edizione 1988-89 quando il Milan aveva eliminato i biancorossi ai calci di rigore facendo prevalere esperienza e cinismo. La Coppa dei Campioni, poi, non ha ancora inventato la soluzione salva grandi dei gironi all’italiana, ma è ad eliminazione diretta dall’inizio alla fine, in sostanza chi sbaglia va a casa; nel primo turno la Stella Rossa se la vede con gli svizzeri del Grasshoppers e l’inizio è tutt’altro che incoraggiante: l’andata nel bollente Marakanà di Belgrado termina 1-1 e gli jugoslavi acciuffano il pari col centravanti Binic dopo il vantaggio iniziale degli elvetici, uscendo pure fra i fischi di un pubblico inferocito per un gioco pessimo da parte dei tanto reclamizzati talenti jugoslavi. Petrovic predica calma, sa che i suoi hanno tutte le carte in regola per invertire la rotta nella gara di ritorno a Zurigo che si trasforma in un trionfo per i biancorossi, spettacolari e redditizi, che si impongono per 4-1 rispedendo in gola fischi e critiche dell’andata. La Stella Rossa sembra davvero in grado di poter fronteggiare chiunque, anche se la critica pare sottovalutare gli uomini di Petrovic, ritenendo Milan, Real Madrid, Marsiglia e Bayern Monaco molto più forti ed organizzate per portare a casa la coppa. Ma gli jugoslavi non hanno bisogno dei proclami per andare avanti, a loro basta giocare e divertirsi, badando sempre a non incorrere in quel lassismo improvviso che da sempre contraddistingue il calcio slavo. Gli ottavi di finale mettono di fronte alla Stella Rossa gli scozzesi dei Rangers di Glasgow, avversario di buon livello e discretamente insidioso; la gara di andata a Belgrado presenta uno stadio quasi pieno, 70 mila spettatori che non stanno zitti neanche a pagarli, un coro costante per novanta minuti. Il resto lo fanno i calciatori in campo che si impongono per 3-0 rendendo irrilevante il ritorno a Glasgow che termina 1-1.

La Stella Rossa è così ai quarti di finale, i suoi talenti messi in campo da Petrovic dialogano alla perfezione e sia in campionato che in Europa, la squadra biancorossa sta veleggiando a ritmi elevatissimi, ottenendo risultati e pure i consensi di quella stessa critica che fino a poche settimane prima diffidava ancora di quel manipolo di bravi ma inaffidabili ragazzotti jugoslavi. Il sorteggio porta al Marakanà di Belgrado i tedeschi dell’Est della Dynamo Dresda: stavolta gli spettatori sono quasi centomila in un impianto fantastico e troppo poco utilizzato in Europa; il grande protagonista è Dejan Savicevic, autore di una prova superlativa, condita da gol e assist del futuro fantasista del Milan: finisce 3-0 anche in questo caso e la Stella Rossa vede da vicinissimo la semifinale. La gara di ritorno a Dresda presenta nella formazione jugoslava anche Sinisa Mihajlovic che nel mercato invernale Petrovic è riuscito a liberare dal Vojvodina, rendendo completa la già fortissima rosa di quella che in Jugoslavia chiamano Crvena Zvezda. La partita si mette male per la Stella Rossa che va subito sotto, ma riesce a rimontare grazie alle reti di Savicevic e Pancev che ribaltano la situazione e inducono i tifosi tedeschi a lanciare oggetti in campo a raffica, tanto che l’arbitro decide di sospendere l’incontro che sarà poi assegnato a tavolino alla Stella Rossa che vincerà 3-0; ma poco cambia perchè la squadra di Petrovic era comunque ampiamente qualificata ad una storica e meritata semifinale che i balcanici giocheranno contro il Bayern Monaco, altra formazione tedesca ma della parte Ovest, ultima divisione di una Germania da pochi mesi riunificata dopo la caduta del Muro. Per la prima volta nella competizione, la Stella Rossa gioca l’andata in trasferta, nel mitico Olympiastadion di Monaco di Baviera dove accorrono tanti tifosi da Belgrado per accompagnare i propri beniamini verso un sogno chiamato Coppa dei Campioni. Il Bayern va in vantaggio con Wolfarth, ma chiunque guardi la partita inizia ad avere la sensazione che gli jugoslavi siano messi meglio in campo e che abbiano una struttura ed un’organizzazione che alla lunga i bavaresi non riusciranno a contrastare; Mihajlovic, poi, tira praticamente da ogni posizione del campo e specialmente su calcio di punizione mette i brividi alla difesa tedesca. Dai e dai, spingi spingi, alla fine la Stella Rossa non solo pareggia con Pancev, ma va addirittura a vincere grazie alla zampata di Savicevic e buon per il Bayern Monaco che gli slavi falliscano nel finale per un paio di volte il 3-1 che avrebbe definitivamente steso i tedeschi, ancora vivi, invece, in vista della gara di ritorno a Belgrado. Il primo tempo al Marakanà è superbo: la Stella Rossa attacca in massa con trame perfette, il Bayern è attonito e non sa come replicare; Mihajlovic segna l’1-0 su punizione e la qualificazione sembra al sicuro, ma nella ripresa la squadra di Petrovic si rilassa, mentre i tedeschi, come al solito duri a morire, riprendono coraggio pareggiando al minuto 20 con un tiraccio di Augenthaler che il portiere Stojanovic si lascia passare inopinatamente sotto il corpo. La Stella Rossa inizia a tremare, i centomila del Marakanà si ritraggono in un silenzio che spaventa i calciatori biancorossi e ringalluzzisce un Bayern Monaco fin lì intimorito: passano neanche cinque minuti che i tedeschi trovano il 2-1 portando la sfida vicina ai tempi supplementari e infondendo in molti spettatori l’idea che i bavaresi troveranno presto anche la rete del 3-1 e di conseguenza il lasciapassare per la finale. Ma stavolta la leggerezza jugoslava vuole avere la meglio sul pragmatismo tedesco: è proprio il 90′ quando Mihajlovic butta in area un pallone all’apparenza innocuo che però Augenthaler devia goffamente alle spalle del proprio portiere Aumann: vano è il tentativo dell’estremo difensore teutonico di ricacciare indietro la sfera che beffardamente rotola in porta, accompagnata dall’impercettibile ma forse determinante soffio di centomila bocche che esplodono subito dopo nell’urlo mai pronunciato fino a quel momento: finale di Coppa Campioni.

La sede della finale della Coppa dei Campioni 1990-91 è il nuovissimo stadio San Nicola di Bari, costruito per i mondiali del 1990, contestatissimo dai tifosi baresi poichè troppo dispersivo, ma evidentemente amato dai politici del pallone che lo designano come catino dell’ultimo atto della maggiore competizione europea per squadre di club. La Stella Rossa Belgrado affronterà in Puglia i francesi del Marsiglia che hanno sbattuto fuori ai quarti il Milan di Sacchi, vincitore delle utlime due edizioni, nella famigerata notte dei riflettori del Velodrome che hanno messo fine alla gloriosa epopea del Milan sacchiano, e in semifinale i russi dello Spartak Mosca. I transalpini si lagnano poichè sostengono che Bari sia troppo vicina a Belgrado e i tifosi jugoslavi potrebbero essere avvantaggiati nella trasferta; nel Marsiglia, poi, gioca Dragan Stojkovic, ex pupillo della Stella Rossa che non sarà però della partita perchè gravemente infortunato ad un ginocchio, primo scricchiolio di una carriera agli sgoccioli per l’ex campione degli jugoslavi. E’ il 29 maggio del 1991, la Stella Rossa mette in campo una squadra che ha incantato ed è forte anche dello scudetto appena conquistato in patria e dominato con 8 punti di vantaggio sulla Dinamo Zagabria. Il Marsiglia, però, non è avversario di minor spessore, anzi, anche la formazione biancoceleste si è appena laureata campione nella Ligue 1 ed è allenata dal tecnico belga Raymond Goethals; in attacco per i francesi c’è Jean Pierre Papin, centravanti dalle movenze non incantevoli, ma tremendamente efficace, nonchè capocannoniere della competizione con 6 gol all’attivo. I tifosi della Stella Rossa accorsi al San Nicola sono oltre 30 mila ed espongono un’enorme striscione con la bandiera serba che ricopre l’intera curva; la partita, però, non soddisfa il pubblico, anzi, è di una noia mortale, senza lo straccio di un tiro in porta, piena di interventi fallosi e continuamente spezzettata dall’arbitro. La gara si trascina stancamente verso i supplementari e anche nella mezz’ora di extra time si mantiene completamente anonima. Ecco che allora la Coppa dei Campioni si dovrà assegnare dopo i calci di rigore, una soluzione spesso criticata, sicuramente cinica e brutale: tutto nei piedi di chi calcia, tutto nelle mani di chi prova a parare, Stojanovic da una parte, Olmeta dall’altra.

Calciano per primi gli jugoslavi e Prosinecki fa centro: 1-0. Il Marsiglia risponde con Amoros che si fa ipnotizzare da Stojanovic che para il tiro e manda in visibilio i tifosi di Belgrado. Tocca a Binic che fa 2-0, poi il francese Casoni mette a segno il secondo rigore per i marsigliesi e tiene ancora in gioco la sua squadra. Terza serie dal dischetto: Belodedici fa gol per la Stella Rossa, Papin lo imita per il Marsiglia; si va avanti col piccolo vantaggio per gli slavi, mantenuto al quarto turno di rigore dal gol di Mihajlovic. La battuta di Moser può essere quindi già decisiva e la Stella Rossa ha già il primo dei due colpi da ko: il calciatore del Marsiglia tiene in piedi i suoi e batte Stojanovic, per cui per la Stella Rossa è necessario calciare il quinto ed ultimo rigore, se Pancev segna gli jugoslavi sono campioni, se sbaglia si dovrà calciare anche l’ultimo tentativo per il Marsiglia. Gli attimi che precedono il rigore di Darko Pancev sono eterni per entrambe le tifoserie: la speranza del Marsiglia, aggrappato ai guanti e alla reattività di Olmeta, il sogno della Stella Rossa, racchiuso nella precisione e nella freddezza del suo centravanti. Il tiro di Pancev è secco e potente, centrale ma imprendibile per Olmeta che si allunga ma non ci arriva: la rete si gonfia accogliendo la palla ed un intero popolo, impazzito per il traguardo più prestigioso. La Stella Rossa è campione d’Europa per la prima e sinora ultima volta, lo stato jugoslavo si sgretolerà da lì a pochi mesi, rivoluzionando anche il calcio, dividendo etnie e calciatori, indebolendo il movimento calcistico che si spezzetta in tanti piccoli enti. La Stella Rossa Belgrado perderà via via prestigio e notorietà, non riuscendosi a qualificare mai più nella fase finale a gironi della rinnovata Coppa dei Campioni, ma resta tutt’ora il simbolo dell’ultimo e tuonante sussulto dell’anarchico calcio jugoslavo. La Stella Rossa campione d’Europa è stata così forse il saluto, il commiato di un popolo unito che realmente unito non è mai stato.

di Marco Milan

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