La corrispondenza di Tornatore. Le parole d’amore fra vita e morte
Rivive il topos dell’amore e dell’amore che riverbera nel binomio vita-morte
Sarà capitato qualche volta di ricevere un regalo, una lettera o un semplice biglietto da parte di una persona cara quando questa non era presente fisicamente ma ha fatto recapitare il pensiero per noi con un tempismo perfetto, magari scrivendo “mentre stai leggendo queste parole, io sarò già…” A stupirci non sarà stato certo l’oggetto in sé, ma il modo semplice e allo stesso tempo sorprendente in cui l’ha realizzato: immaginare il momento esatto in cui avremmo ricevuto quel pensiero, la nostra reazione e magari l’esclamazione “Ma come ha fatto?”.
Il senso vero de “La Corrispondenza”, l’ultima fatica del regista Giuseppe Tornatore, è in questa sensazione; quella di una presenza pregnante in un vuoto che fa paura. Quando due persone si co-rispondono comunicano, comunicando riempiono di sostanza le loro vite, e lo spazio e il tempo che prima sembravano essere dei confini insuperabili vengono irrimediabilmente valicati. All’improvviso niente sembra avere importanza, nemmeno se quel dialogo avviene nella dimensione che noi definiamo realtà o nella finzione; il dialogo attraversa la vita e giunge fino alla morte lasciando dietro di se un tracciato di continuità.
Il tema affrontato ne “La Corrispondenza”, le cui musiche sono state composte da Ennio Morricone, ha alle spalle secoli e secoli di letteratura in cui il topos dell’amore e dell’amore che riverbera nel binomio vita-morte ha animato uomini, artisti, poeti, pittori di tutti i tempi. Già il titolo contiene un riferimento, di foscoliana memoria, alla “corrispondenza d’amorosi sensi”, o ancora all’ “amor che move il sole e l’altre stelle”, per citare Dante.
Il regista de “La migliore offerta” tenta una strada nuova per raggiungere la conoscenza: non soltanto con i sensi, nemmeno attraverso la speculazione filosofica (che pure è presente nel film), ma rifacendosi alla realtà stessa. E a quel punto tutto può essere asservito alla magia dell’amore, quell’amore che è capace mi muovere gli astri e che trasvola dalla gabbia del pensiero finito dell’uomo giungendo all’ineffabile: dall’astrofisica alle nuove tecnologie, le quali nell’immaginario di Tornatore non sono in contraddizione con la letterarietà del tema amoroso, ma diventano supporti emotivi capaci di far toccare due anime in qualunque momento. “Ti amerò sempre, ovunque e comunque”, dice in un passaggio del film Ed il protagonista interpretato da Jeremy Irons. Una frase apparentemente banale ma che cela l’amara consapevolezza della finitudine della vita davanti alla quale l’uomo arranca, lotta, non vuole rinunciare all’illusione di poter vivere in qualche modo anche dopo la morte. Così come osserviamo le stelle presenti nel cielo da milioni di anni e dunque comunichiamo con il bagliore di una stella morta, il regista sembra chiederci “ma è davvero morto ciò che splende e fa luce nel buio?”.
Ai poli opposti della corrispondenza, due amanti: Ed, scienziato di fama e sposato, ed Amy interpretata da Olga Kurylenko, studentessa fuoricorso di astrofisica che per mantenersi fa la controfigura in pericolose scene d’azione. La tensione verso la morte dalla quale la giovane è attratta nasconde un senso di colpa che la tormenta: una storia nella storia, un percorso di redenzione, ma alla fine sono quelli che le stanno intorno a morire. A lei tocca vivere.
L’amante d’improvviso scompare, forse è morto, ma continua a mantenere un rapporto con lei attraverso email, sms, clip salvate su cd rom, lettere. Così cominciano i viaggi di Amy all’affannosa ricerca della verità, tra la Scozia e Borgoventoso, dove i due amanti erano soliti incontrarsi.
Capovolgendo il mito ovidiano di Orfeo ed Euridice, in cui il marito cerca con il suo canto di ammaliare gli déi degli inferi e far tornare in vita Euridice, Tornatore ci mostra i tentativi di un uomo che negli ultimi tre mesi, mentre un tumore lo strappa alla vita, architetta nei minimi dettagli i modi per riuscire a rimanere accanto alla donna che ama.
Così la morte costituisce solo un momento, uno tra tanti, non quello fondamentale. Come se la morte non cambiasse il corso degli eventi, ma si inserisse in essi, volendo quasi farne parte, cercando di “convivere” con la vita, illudendosi, forse, di entrare a far parte dell’eternità.
(di Anna Piscopo)