Dalla selezione eugenetica nazista alla bioetica contemporanea
L’apertura dei cancelli di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche svela l’orrore dei lager nazisti nel campo di concentramento più tristemente conosciuto per essere un luogo di prigionia e di morte. Era il 27 gennaio 1945. Nella ricorrenza del 70° anniversario, L’Università “Sapienza” di Roma, in vista del “Giorno della Memoria”, ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “1945-2015: Medicina e Shoah, settant’anni dopo Auschwitz. Dalle leggi di Norimberga alla bioetica contemporanea”, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato di coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Fondazione museo della Shoah di Roma.
Dopo i saluti del Rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio, è intervenuto Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), che ha definito la Shoah come un evento storico capace di porre l’uomo di fronte a questioni etiche. Nella sua relazione, Gattegna ha posto l’accento sul ribaltamento della funzione della medicina, da curatrice a distruttrice, nel segno dell’indifferenza verso il valore della vita umana, il bene più prezioso per l’Ebraismo. Il rischio che ciò che è avvenuto possa accadere di nuovo, come scriveva Primo Levi, esiste ancora e “i fondamentalismi di oggi, fatti gli opportuni distinguo, sono animati da un disprezzo della vita umana tale da ricordare i crimini dei totalitarismi del secolo scorso”. La vera sfida del nostro tempo, ha proseguito il presidente dell’UCEI, è “la cultura, lo strumento più importante per favorire la convivenza tra i popoli”. A proposito di divulgazione della conoscenza su questi temi, la professoressa Livia Ottolenghi ha messo in evidenza il percorso formativo multidisciplinare offerto dall’Ateneo romano, tra cui un Master in Medicina e Shoah.
Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, ha ricordato “il bene e il male della medicina nella Shoah”. Dai “terrificanti esperimenti” sui campi di sterminio, come la capacità di resistenza dei corpi al congelamento, alla “medicina positiva” di coloro che gestivano le epidemie in modo clandestino per evitare che i prigionieri venissero soppressi o allestendo sale parto clandestine nei ghetti o ancora, dilemma etico tra i più drammatici, decidendo quando interrompere la gravidanza per salvare la vita di donne incinte, destinate altrimenti a essere soppresse al pari dei nascituri. “Molti medici, anche ebrei, hanno aderito volontariamente al nazismo”, giustificando la superiorità della razza in nome della scienza. É improprio l’uso del termine “razza”, ha sottolineato con veemenza Di Segni, e anche la Costituzione italiana, “è una vergogna che all’articolo 3 contempli la razza. Un punto da cambiare”. L’altra faccia della medaglia è la “persecuzione sistematica”: 131 medici radiati dall’albo professionale, tra cui il padre pediatra e Nathan Cassuto, oculista e rabbino, vittima di una“marcia della morte” nel 1945, ai quali Di Segni ha dedicato un pensiero commosso.
Dall’eugenetica nazista all’etica medica – Il docente di genetica medica Antonio Pizzuti ha ripercorso le origini dell’eugenetica, fin dall’Ottocento una teoria medico-igienica, della quale Hitler lesse molti libri, considerata dal nazismo come “dottrina politica basata su dati scientifici che possono migliorare la qualità razziale”. Si afferma la promozione della selezione genetica, per prevenire le malattie ereditarie, a partire dal 1934sia con la sterilizzazione forzata di soggetti giudicati “inferiori”, come i disabili, sia dell’ “eugenetica attiva” mirata all’eliminazione di “vite senza valore”. Georg Lilienthal, responsabile del Memoriale “Hadamar”, ha affrontato il tema dell’eutanasia nel Terzo Reich, che prevedeva la cosiddetta “Operazione T4”, un programma di sterminio di malati cronici e affetti da patologie invalidanti: 70.000 vittime, tra adulti e bambini, uccisi perché incapaci di lavorare. Il progetto di sterminio prosegue con l’ “eutanasia decentrata”: 90.000 persone uccise con overdose di medicinali, al posto delle camere a gas, fino al 1945, soprattutto nelle strutture ospedaliere. Non solo Ebrei, che i nazisti soprannominavano “cadaveri in vacanza” al loro ingresso nel campo di Birkenau, ma anche Rom, Sinti, omosessuali, disabili e partigiani, pure nell’Italia settentrionale. Una “dittatura biopolitica” che trasforma l’ideologia nazista in leggi razziali, privilegiando la “salute della comunità” prima di quella dei singoli, ha sottolineato Marcello Pezzetti, direttore della Fondazione Museo della Shoah di Roma.
Il sistema concentrazionario nazista conta sulla medicina e sul finanziamento della ricerca medica da parte di istituzioni scientifiche e accademiche. Contro i crimini dei medici processati per aver operato secondo le direttive naziste viene emanato il Codice di Norimberga, all’indomani dell’omonimo processo. Gilberto Corbellini, docente di Storia della Medicina e di Bioetica della Sapienza di Roma, ha brevemente ricordato i principi cardine del Codice, tra cui il consenso informato e volontario del paziente, una rivoluzione copernicana della medicina dai tempi del “Giuramento di Ippocrate”, fondato sul «Primum non nŏcēre» (prima di tutto non danneggiare) i gli sviluppi del Codice del 1947, come la Dichiarazione di Helsinki del 1962, più volte aggiornata, sulla sperimentazione e sulle ricerche biomediche.
A segnare un momento cruciale nella nascita della bioetica fu il “Tuskegee Study” negli anni Trenta: le autorità governative americane per quarant’anni promossero sperimentazioni su uomini di colore affetti da sifilide senza informarli. Dopo la scoperta dello “scandalo”, nel 1978 si arrivò al “Rapporto Belmont”, che sancisce il principio del rispetto per l’autonomia del paziente, l’obbligo del consenso informato, il principio di beneficialità negli interventi sperimentali e il principio di giustizia. Sono i primi, concreti, tentativi di identificare principi etici di base nella professione medica, che hanno aperto un dibattito bioetico che prosegue a tutt’oggi. Resta da capire, tuttavia, come ha sostenuto Georg Lilienthal, perché molti medici aderirono al nazismo abbandonando il Giuramento di Ippocrate e continuando a professare le loro nuove idee attraverso selvagge sperimentazioni, anche dopo la guerra. Un quesito ancora senza risposta e meritevole di approfondimento in nome di una memoria storica da mantenere sempre viva per le vittime e per le future generazioni.
(di Elena Angiargiu)
Fonte immagine: http://www.holocaustresearchproject.org/othercamps/auschwitzht.html