Luis Enrique vola con il Barcellona, sembrano lontani i tempi alla Roma

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enrique-skepticalAria nuova che sa di quella vecchia. Al Campo Nou sembra essere tornato a tirare il vento del passato. C’era curiosità, tanta curiosità, sul debutto di Luis Enrique sulla panchina del Barcellona e l’aura di scetticismo, proveniente sopratutto dai nostri confini, ha lasciato piano piano spazio alla conferma che in fondo Pep Guardiola qualche anno fa aveva ragione. Vedeva in Luis Enrique un suo possibile erede, poco contava, per il tecnico catalano, il fallimento dell’asturiano a Roma, il calcio alla Barcellona Luis ce l’ha nel sangue.

Il Barcellona si è così presentato con una vittoria al debutto della Liga, ma lo ha fatto sorridendo, come poche volte durante le tante crisi interne che avevano colpito la gestione Martino, si era visto fare. La prova Elche ovviamente non è probante, ma quello che ha sorpreso e che ha piacevolmente colpito gli esteti del gioco, è stata l’idea di squadra messa in piedi da Luis Enrique. La doppietta di Messi e il gol del 2-0 del giovanissimo Munir hanno sopperito senza problemi all’espulsione di Mascherano, arrivata subito dopo il gol del vantaggio, il quasi 80% di possesso palla ha riportato alla memoria il guardiolismo prima maniera. Quello non influenzato da critiche esterne dovute alle troppe vittorie accumulate.

Bisogna fare tante specifiche. Sebbene questo Luis Enrique può ricordare il primo Guardiola, anche nell’abbigliamento e nello stile, il Barcellona del triplete non può essere paragonato a quello che probabilmente verrà ammirato lungo questo anno. Quella squadra aveva una serie infinita di campioni dalla spina dorsale formata e pronta per le vincere: Eto’o, Henry, Puyol, Xavi per citare soltanto alcuni di quelli che non sono più presenti (solo Xavi ha deciso di restare un altro anno da gregario). Questa squadra, presenta ovviamente dei campioni assoluti, ma dovrà fare affidamento ancora di più sul valore del collettivo, nonostante un Messi sulla via del ritorno agli standard di due anni fa. 

Il Barcellona passo passo sta quindi tentando di tornare quello di un tempo, con una differenza emersa almeno nei primi 90 minuti di Liga: la verticalizzazione. Che poi pensandoci bene più che una novità nel gioco del Barca (visto che comunque con Guardiola, ma anche con Tito Villanova, la squadra in porta ci arrivava e anche abbastanza spesso) sembra essere una novità nel gioco di Luis Enrique. La più grande sorpresa è infatti proprio il tecnico, chiamato alla conferma dei passi in avanti mostrati sulla panchina del Celta Vigo, e che a differenza dell’anno romano, quando la verticalizzazione era soltanto un optional, si è mostrato finalmente maturo per una panchina di alto livello: in una partita Rakitic ha cercato la profondità più spesso di quanto Pjanic, Gago e De Rossi abbiano fatto in un campionato intero. 

Era il 20 giugno del 2011 quando l’Italia imparava a conoscere il tecnico natio di Gijon. Franco Baldini, innamoratosi del tecnico del Barcellona B dopo un colloquio, decide di affidargli il primo progetto della nuova Roma americana. In casa Roma però non decolla nulla e il tecnico, che si fa apprezzare per la sua figura e professionalità, ma meno per scelte e tattiche non brilla, anzi. La Roma esce dai preliminare di Europa League contro il modestissimo Slovan Bratislava e nella sfida di ritorno il tecnico (in vantaggio per una rete a zero) prova la mossa a sorpresa: fuori Totti dentro Okaka. Allo Slovan viene tolto un peso pesantissimo con il quale confrontarsi e la rete dell’uno a uno si materializza molto presto. La stagione è una altalena con più bassi che alti: l’idea di squadra, quel gioco alla Barcellona diventa uno specchio per le allodole, un macigno con il quale doversi confrontare per forza tutte le domeniche.  Bologna-Roma 0-2 o Roma – Inter 4-0 sono l’esemplificazione perfetta del gioco che il tecnico vuole dare alla sua squadra. Ma lo spettacolo che Luis Enrique ha in mente si vede poche volte, per il resto ci sono caterve di gol subiti e una mancata qualificazione all’Europa League da registrare. Il tika-tika è un gioco difficile da mettere in pratica, ci vogliono gli interpreti giusti, la mentalità e un campionato che si possa sposare bene con quell’idea di gioco. La stagione del tecnico si conclude tra tanto stress e con i fischi di una piazza, che però con lui, come con nessun altro, si era dimostrata paziente: la contestazione ci fu, ma soltanto a fine campionato.

Dopo un anno così per Luis Enrique c’era bisogno di tornare in Spagna, per potersi presentare magari più avanti con la stessa idea di calcio (nel frattempo maltrattata dalla forza teutonica) ma con una squadra impostata per metterla in pratica e con in più esperienza e maturità per poter guidare una squadra di livello. Non era pronto 3 anni fa per allenare una squadra con grandi pressioni, non tutti sono come Guardiola anche nell’approccio al calcio che conta. L’anno in una squadra di seconda fascia come il Celta ha dato a Luis la tranquillità e l’esperienza necessaria per compiere il salto che in troppi forse da lui si aspettavano troppo presto. E chissà se il destino non lo riporti ancora una volta all’Olimpico, magari in un girone di Champions League, per presentare, anche a Roma, il nuovo Luis Enrique.

 

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