C’era una volta il Benfica di Bèla Guttmann

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guttmandi Lorenzo Centioni

È un afoso pomeriggio a Lisbona, il nuovo allenatore del Benfica, il rivoluzionario psicologo del calcio Bèla Guttmann, si concede un momento di riposo dal suo barbiere di fiducia, ha raggiunto Lisbona e il Benfica lasciando il Porto dopo aver vinto il campionato portoghese in una delle più belle rimonte della storia del calcio, è il 1959.

Guttmann raggiunge Porto nel Novembre del 58 sostituendo a campionato iniziato Otto Bumbel, il tecnico ungherese ha girato tutto il mondo, allena Nordhal e Liedholm al Milan, poi il San Paolo in Brasile. La dirigenza del Porto in segno di infinita riconoscenza regala allo psicologo ungherese un logo della società in diamanti, Guttmann ringrazia ma lascia lo stesso la città, infrangendo i cuori dei tifosi per raggiungere proprio Lisbona e il Benfica. Guttmann non appena arriva al Benfica rivoluziona la squadra, taglia 20 giocatori su 22, promuovendo in prima squadra moltissimi giovani. In quella stagione il Benfica perde solo contro il Belenenses nell’ultima ininfluente partita di una stagione dominata dalle leggendarie aquile.

Gutmann quel pomeriggio è sdraiato sulla sedia del suo barbiere e si gode il suo imbattibile Benfica. In quegli anni però c’è un’altra squadra imbattibile, una squadra che nel 1959 si aggiudica la quinta Coppa dei Campioni consecutiva, una squadra dall’attacco inarrestabile,  i dribbling e i colpi di tacco di Gento seminano il panico sulla fascia sinistra, le giravolte e il destro terrificante di Di Stefano incantano il pubblico, il sinistro di Puskas è infallibile, è il Real Madrid. Forse è questo nome più di altri ad impensierire Guttmann, Puskas e il Real Madrid sono l’ultimo ostacolo per lo psicologo del calcio, l’ultimo ostacolo per entrare nella storia per accedere all’olimpo del calcio. I due si sono già conosciuti.

Nel 1947 Puskas era la stella del Upjest la squadra ungherese guidata proprio da Bela Guttmann, i due si laureano campioni d’Ungheria ma a fine stagione Guttmann lascia il posto, proprio a causa di dissapori con Puskas; dal punto di vista dell’allenatore egli aveva fallito, era solito dire: «controlla la stella e controllerai la squadra». È lì rilassato che si gode il suo grande momento e improvvisamente irrompe nella bottega Josè Carlos Bauer, suo ex giocatore al San Paolo. Già il San Paolo. In Brasile Guttmann era il guru del calcio, durante gli allenamenti faceva appendere dei copertoni alla traversa per migliorare la precisione nel tiro ai suoi giocatori, consegnò un pallone ad ogni suo giocatore, per ricordare loro a cosa dovessero pensare, portò il 4-2-4 in Sud America, vincendo il campionato ancora una volta all’ultima giornata, 3 a 1 contro il Corinthias era il 1957. Nel 1958 si giocano i mondiali in Svezia, c’è una squadra inarrestabile che raggiunge la finale con facilità, in attacco gioca un ragazzo di diciassette anni, è il calciatore più forte di tutti tempi, Pelè. Sono i verde oro di Vicente Feola e giocano con il 4-2-4, il modulo di Guttmann. Quei brasiliani espressero gioia, estro e fantasia tutto in una partita di calcio, quel giorno Pelè realizzò uno dei gol più belli di sempre, fermando di petto un lancio dalla tre quarti, si esibì con un sombrero per scavalcare il difensore svedese e colpì di destro al volo. Il Brasile vinse la sua prima Coppa del Mondo.

Quel pomeriggio a Lisbona Bauer confida a Guttmann di aver appena incontrato un extraterrestre. Era la verità, Bauer aveva scovato in Africa un ragazzo di 18 anni, veloce e potente come una pantera, era Eusebio. Gutmann fece di tutto per portare Eusebio al Benfica, il ragazzo era già promesso allo Sporting Lisbona, ma l’allenatore ungherese manda 20.000 dollari alla famiglia del giovane, una volta atterrato a Lisbona, Guttmann era li che lo attendeva. Guttmann tutela il giovane facendolo integrare con la squadra. Un anno dopo il tecnico ungherese raggiunge nuovamente la finale di Coppa Campioni, ma questa volta ad attenderlo c’è Puskas e i blancos al gran completo.

Benfica e Real sono le gemelle del gol in quegli anni ed entrambe adottano uno schema di gioco votato all’attacco. Quella finale sembra l’inizio di un incubo per Guttmann. Di Stefano lancia Puskas, l’attaccante controlla il pallone e si invola, scarica un sinistro poderoso all’angolo, è vantaggio Real. Punizione battuta a centro campo, palla a Puskas, controllo di tacco, sinistro dai 30 metri, raddoppio madridista. Il Benfica non si scompone e prima accorcia le distanze e poi pareggia. Di Stefano accende sempre la manovra madridista il pallone finisce nuovamente sul sinistro di Puskas che sigla la tripletta. Le squadre vanno al riposo e Guttamann dice ai suoi: «la partita è vinta, loro sono morti ». Eusebio gioca un secondo tempo incredibile, il Benfica rimonta lo svantaggio e vince il match per 5 a 3.

Guttmann aveva già deciso di abbandonare Lisbona, la dirigenza del Benfica gli aveva negato un premio economico se egli fosse riuscito a vincere nuovamente la Coppa Campioni. Guttmann lascia malamente Lisbona perché considera il comportamento della dirigenza un’onta nei suoi confronti. Fu in quella notte di gloria che l’allenatore tuonò rivolgendosi alla dirigenza; egli dichiarò che il Benfica non avrebbe mai più vinto una Coppa dei Campioni senza di lui. Da quel momento in avanti il Benfica avrebbe perso tutte le finali delle coppe europee alle quali partecipò. L’anno scorso al Da Luz la società ha dedicato una statua in Bronzo che raffigura l’allenatore ungherese e le due coppe dei campioni vinte nel 1961 e 62, per scongiurare la cosiddetta maledizione di Guttmann.

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