I regolamenti di conti tra faide. La piana di Gioia Tauro si trasforma nel Far West

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di Marta Silvestre

Nel 1960, Drosi da piccolo centro della piana di Gioia Tauro e frazione di Pizziconi presso Palmi Calabro, si trasforma in un tragico Far West.

Tutto comincia quando Antonio Stillitano, sposato e padre di sette figli, rivolge una galanteria alla cognata Rosa Seva, sorella del giovane Martino. Ne nasce una lite che degenera rapidamente in un duello a fuoco durante il quale il giovane, gravamente ferito dalle rivolverate dell’avversario, perde l’uso delle gambe e viene ridotto a vita sulla sedia a rotelle.

Lo zio Domenico Maisano, furibondo a causa di tutto l’odio covato per l’accaduto, giura solennemente di sterminare tutta la famiglia degli Stillitano – circa 22 persone, molte delle quali donne e bambini.

Addirittura, alcune delle vittime predestinate, vinte dalla paura, in quel periodo espatriano in Francia. Quelli che rimangono sembrano aspettare con il cuore in gola che il ‘giustiziere’ si faccia vivo, tanto che alcune sentinelle armate montano la guardia dentro e attorno alle loro case, per cercare di evitare che il bandito possa raggiungere le sue vittime designate.

Quando comincia la serie delle sue incredibili vendette sanguinarie, Domenico è un contadino quarantenne dal carattere freddo e spietato – nientemeno, giusto per rendere l’idea, da ragazzo strangolava con il fil di ferro i gatti e decapitava i cani di coloro che semplicemente gli erano antipatici.

Sembra strano che un uomo così feroce e crudele fosse anche in grado di nutrire sentimenti delicati, per esempio nei confronti di suo nipote Martino Seva per il quale era capace di compiere qualsiasi tipo di sacrificio. Martino era il suo nipote prediletto, un ragazzo dall’aria sveglia e furba che lo zio manteneva agli studi nella convinzione che prima o poi sarebbe diventato qualcuno di importante e avrebbe potuto ricambiare i suoi sacrifici.

Il 22 dicembre del 1962, Domenico, armato di lupara e rivoltelle, decide di lasciare momentaneamente il suo rifugio in chissà quale tana dell’Aspromonte per scendere nel paesino. Dalle finestre delle case si intravede la luce dei caminetti che producono il tepore e le lucine dei presepi e degli alberi di Natale che creano una certa atmosfera di pace. In quel clima di serenità natalizia, nessuno può immaginare ciò che sta per accadere nella piccola comunità.

Quella sera, Maria e Natalina Stillitano – rispettivamente di 22 e 21 anni – sono nella loro abitazione, in compagnia di una nipote quindicenne, intente nel loro lavoro di sartoria.

A un certo punto, un uomo vestito di nero, con gli occhi da allucinato e il viso pallido, bussa all’uscio di casa, Maria apre appena la porta e l’uomo, dopo averla spalancata con un vigoroso calcio, le scarica addosso una fucilata e la uccide sul colpo. Dopo di che, entra in casa e attraversa le altre stanze fino a giungere davanti a Natalina. Alla ragazza terrorizzata chiede insistentemente dove si trovi il padre – Francesco Stillitano – ma lei, in preda allo shock, non è nemmeno in grado di rispondere in maniera esauriente e compiuta. A questa mancata risposta, Maisano reagisce male e le scarica contro tutti i proiettili contenuti nel caricatore della pistola che teneva alla cintola. Alla ragazzina quindicenne riserva, invece, tre pallottole alle gambe che non la uccidono, ma comunque la feriscono piuttosto gravemente.

Compiuta la strage, Domenico fugge per le campagne.

Successivamente, circa dopo sette anni, sarà a sua volta ucciso in un omicidio di ‘ndrangheta.

I regolamenti di conti e le richieste di vendetta all’interno delle faide creano dei veri e propri circoli viziosi dai quali è difficile riuscire a uscire poiché il loro moto rotatorio ingabbia in vortici spesso  turbolenti.

 

 

 

 

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