Il profilo del campione: Vettel destinato a stravolgere i record di uno sport

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di Marco Milan

Ventisei anni appena compiuti, 116 gran premi corsi, 36 vittorie, 43 pole position e 4 titoli mondiali (peraltro consecutivi) conquistati. Questo è Sebastian Vettel da Heppenheim, 25 mila abitanti nell’Assia, Germania occidentale.

Meglio di lui in Formula 1 solo Michael Schumacher (7 titoli) e Juan Manuel Fangio (5), come lui Alain Prost, non proprio l’ultimo dei fessacchiotti di questo sport. Ma Vettel, solo ventisei anni appunto, è destinato a capovolgere e ridisegnare la storia della Formula 1, spaventando proprio Schumacher (che da anni lo ormai eletto a suo naturale successore) i cui record iniziano a vacillare. Schumi guida la classifica dei titoli mondiali, ma anche quella delle vittorie (91) e delle pole position (68), ma Vettel ha via via rosicchiato posizioni, a furia di schiacciare l’acceleratore, di spremere la sua meravigliosa creatura, la Red Bull, fino all’ultima goccia, trattandola come una principessa tutta viti e bulloni, baciandola dolcemente alla fine di ogni gara. A novembre del 2010, quando conquistò il suo primo campionato del mondo, Vettel ha aperto un’era, ha iscritto il suo nome nella leggenda, maturando sempre più, imparando non solo ad attaccare ma anche a gestire, a capire con intelligenza quando e come spingere. Eppure c’è ancora chi non si fida, chi dubita del suo talento, chi sostiene che si il ragazzo in fondo è bravino, ma alla fine è quasi tutto merito della macchina, chi è convinto che il tedesco neo quadricampione del mondo vinca solo quando parte davanti, scappa via alla prima curva e riesce ad imprimere il ritmo che vuole. Vien da chiedersi però: ammesso e non concesso che sia così, non è forse un merito conquistare la pole e scattare meglio di tutti al via? Poi: Sebastian ha dimostrato di saper vincere le gare anche quando parte dietro, vedasi gp degli Emirati Arabi dello scorso anno quando partì ultimo e finì terzo a suon di sorpassi.  E ancora: se il merito fosse tutto o quasi della Red Bull,che è comunque una vettura che rasenta la perfezione, anche Mark Webber, il secondo pilota della scuderia austriaca, otterrebbe risultati analoghi a quelli del tedesco. E invece no. Webber, pur spesso penalizzato da scelte dei box atte a favorire Vettel e pur spesso vessato da sfighe colossali, negli ultimi quattro anni ha combinato poco o nulla, lagnandosi del suo marginale ruolo di gregario, ma mai capace di mettere in difficoltà la squadra nella scelta delle gerarchie. Nel 2010 Webber a un mese dalla fine del campionato era in testa alla classifica, davanti alla Ferrari di Alonso e con Vettel tenuto in vita solo dall’aritmetica; ebbene, l’australiano si sciolse come neve al sole, dimostrando tutta la sua debolezza di carattere e di grinta, spianando la strada alla rimonta del compagno, lucido, al contrario, nel momento decisivo della stagione. Lucidità e cattiveria: così Sebastian Vettel ha portato a casa titoli e vittorie, rimboccandosi le maniche nei (pochi) momenti di difficoltà, gestendo al meglio un gioiello, non rovinando in pista quando di buono ha disegnato Adrian Newey alla scrivania, rigorosamente con carta e penna, senza ausilio di computer. Vettel è stato fischiato a Monza quest’anno, reo, a detta degli sportivissimi tifosi italiani, di rendere noioso questo sport, di vincere troppo.

Curioso che quei fischi siano arrivati da quegli stessi sportivissimi tifosi che fino a dieci anni fa celebravano le gesta, le vittorie e i recordi di Schumacher, senza allora minimamente preoccuparsi della noia stile Vettel che l’era Schumi procurava. Ma Sebastian si è scrollato dalle spalle quei fischi come fossero granelli di forfora, ha ingranato le marce più alte ed ha conquistato 8 vittorie nelle ultime 10 gare, inciampando solo a Silverstone quando la RB9 lo ha tradito mentre dominava e si accingeva a trionfare, ed accontentandosi del terzo posto in Ungheria; poi solo vittorie, 10 totali, 6 consecutive. In  Ferrari, prima squadra rivale della Red Bull, hanno organizzato macumbe e danze della jella per avvicinarsi un po’ a Vettel, assumendo il ruolo di gufi professionisti anziché di responsabili del team di Maranello (sarà forse per questo che hanno tralasciato lo sviluppo della rossa da luglio in poi?) vedendosi impotenti di fronte alla perfezione dei bibitari austriaci e del piccolo biondino tedesco dalla faccia di eterno adolescente. Già, ma forse alla Ferrari dimenticano che senza lo stop di Silverstone, Vettel sarebbe diventato campione del mondo molto prima. La realtà è che Vettel ha vinto 10 gare, più di quelle di Ferrari, Mercedes e Lotus messe insieme (6) stravincendo anche questo campionato, con buona pace di chi lo considera inferiore come talento agli Alonso, ai Raikkonen e agli Hamilton, giudicati più bravi, chissà poi in base a quali parametri. Gli dicono di andarsene dalla Red Bull, di dimostrare altrove il suo talento, un po’ come a dirgli: vediamo con un’altra macchina che sai fare! Come se fosse colpa sua se la Red Bull va così forte, è solida come una roccia e sa essere veloce pur non avendo (e non avendo mai avuto negli anni) le velocità di punta maggiori. Certo, Vettel alla Caterham non avrebbe vinto il mondiale, Alonso alla Red Bull probabilmente si. Neanche Schumacher alla Minardi avrebbe avuto successo, ma basta questo a fare di Vettel un semplice campione da laboratorio? Si può dire che Lionel Messi abbia vinto 4 Palloni d’Oro consecutivi solo perchè il suo Barcellona è stato per 4 anni la squadra di calcio più forte del mondo? No, Vettel e Messi hanno vinto, vincono e probabilmente vinceranno ancora perché sono due fenomeni, due espressioni meravigliose dei loro sport; il resto, francamente, fa soltanto volume. Dalla prima vittoria della carriera (Monza, settembre 2008) alla guida della piccola Toro Rosso, Vettel è maturato, come uomo e come pilota, mantenendo intatte le sue qualità come umiltà, realismo, determinazione e fame, migliorando quegli aspetti che non andavano, quell’eccessiva aggressività che lo portava a sbagliare troppo in pista, spesso rovinando o compromettendo gare dominate in lungo e in largo. E’ ora un pilota esperto, un atleta stile cannibale, alla stregua di un Valentino Rossi o un Roger Federer, giusto per non scomodare ancora Re Schumi I da Kerpen. Più vince e meno si sazia il piccolo grande Sebastian, più accumula record e più si sente pronto per rimpinguarli.

Il prossimo anno la Formula 1 cambierà pelle tornando ai motori turbo, un cambiamento che rimescolerà le carte annullando i divari fra le squadre che ripartiranno da zero. Sarà forse l’occasione per la Red Bull e per Vettel, qualora ce ne sia davvero bisogno ed utilità, che il dominio degli ultimi 4 anni non è stato frutto del caso. Per ora, Sebastian, solo chapeau.

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