124 rose bianche: l’addio a Lea Garofalo

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di Mariacristina Giovannini

124 sono le donne uccise per mano di un uomo nel corso di quest’ultimo anno. E 124 sono le rose bianche che il Comune di Milano ha deposto sulla tomba di Lea Garofalo, nel giorno dei suoi funerali. Funerali civili celebrati a 4 anni dalla sua morte. A pochi mesi dal ritrovamento dei suoi resti. Del suo corpo carbonizzato per non lasciarne traccia.

Lea Garofalo, testimone di giustizia, è stata assassinata dal padre di sua figlia, Carlo Cosco, e da un commando di ‘ndranghetisti. È stata eliminata con l’obiettivo di “cancellarla dalla faccia della terra, non solo uccidendola, ma anche disperdendone ogni traccia materiale”.

La vita di Lea inizia a Petilia Policastro – piccolo centro in provincia di Crotone – nel 1972. Suo padre è un mafioso. La sua è famiglia di mafia. A 16 anni incontra un conterraneo, Carlo Cosco, con cui avrà una bambina, Denise, un anno più tardi.

Insieme a Carlo, pensa di poter cambiare vita. Si trasferiscono a Milano. Spera in un nuovo inizio. E’ poco più di un’adolescente, Lea. Una giovane donna, una piccola madre. Ma si accorge presto di aver inseguito il sogno sbagliato. Carlo è legato alla sua famiglia, è un mafioso, si muove nello stesso ambiente da cui Lea ha tentato di allontanarsi.

“La mia vita è stata sempre niente, non gliene è mai fregato niente a nessuno di me, non ho mai avuto né affetto né amore da nessuno, sono nata nella sfortuna e ci morirò. Oggi però ho una speranza, una ragione per cui vivere e per andare avanti, questa ragione si chiama Denise, ed è mia figlia. Lei avrà da me tutto quello che io non ho mai avuto da nessuno”.

Lea Garofalo scrive queste parole il 18 agosto 1992. Ha 20 anni, e si è appena data un obiettivo: vuole che sua figlia cresca dalla parte giusta. Per maturare questa decisione, una decisione che metterà a repentaglio la vita sua e di Denise, Lea impiegherà 10 anni.

Nel 2002 inizia a collaborare con la giustizia. Racconta i traffici del clan e del suo compagno. È messa sotto protezione. Nel 2006 le è revocata perché la sua collaborazione non è più ritenuta significativa. Nel 2007, grazie a un ricorso al Consiglio di Stato, ottiene nuovamente la protezione. Nel 2009, dopo 7 anni di minacce e persecuzioni da parte del suo ex compagno, decide di rinunciare a tutto, e torna a Petilia Policastro.

Da qui, Lea si trasferisce a Campobasso. Il 24 novembre del 2009, Carlo Cosco – che ha già cercato di farla rapire – le chiede un ultimo incontro, per parlare del futuro di Denise. Lea accetta, nonostante la resistenza di sua figlia, nonostante la paura di una trappola.

Lea non tornerà più a casa. Lea rapita, interrogata, torturata, bruciata, sepolta. Lea calpestata.
Il resto è storia di processi, quattro lunghissimi anni per appurare la verità dei fatti. Il resto è storia di coraggio, di una ragazza di 22 anni, Denise, che ha deciso di combattere per sua madre, per se stessa, per raccontare con dignità – e a testa alta – la loro storia.

Una falsa credenza vuole che le mafie non uccidano le donne. Per sfatare questa convinzione vi invitiamo a leggere il dossier “Sdisonorate” dell’associazione Antimafie DaSud, una interessante mappa conoscitiva sul rapporto tra donne e mafia. Le donne – innocenti o dissidenti o senza la forza di uscire dal giogo mafioso – uccise dalle mafie sono oltre 150. Queste uccisioni sono state tenute insieme perché tutte riconducibili alla stessa causa: il sistema criminale e socio-culturale delle mafie. Le ricerche di “Sdisonorate” sono di Irene Cortese, la cura è stata di Cortese, Sara Di Bella e Cinzia Paolillo. Ai testi hanno collaborato Angela Ammirati, Danila Cotroneo e Laura Triumbari.

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