Bella ciao

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di Greta Marraffa 

“Meglio morire che vivere con te”. Mi lascia basita la riflessione della Cortellesi, nel suo video di denuncia alla violenza, in cui tenta di rappresentare come possa sentirsi una donna, una moglie ammazzata e gettata in un pozzo. Avrei preferito dicesse, meglio vivere che stare con te oppure, meglio denunciarti che continuare a vivere sotto lo stesso tetto, perché si sa che spesso la violenza ha le chiavi di casa.

C’è uno strano modo di approcciarsi al concetto di forza. Spesso ci si adegua a categorizzazioni pre- impostate. Spesso, nelle animate discussioni tra amiche, sento dire: “Vorrei un uomo forte, che sappia sorreggermi nei momenti del bisogno, che sappia controllare le sue reazioni, che non ceda alle fragilità e che in qualsiasi momento, nei miei periodi di solitudine,  abbia la capacità di non essere inopportuno ed ingombrante”.

Ci si rinchiude sempre, troppo spesso all’interno di normazioni che assolutamente non ci appartengono e che non fanno altro che alimentare disparità, disuguaglianze e discriminazioni. Ben vengano invece, uomini che non abbiano il timore di manifestare le proprie fragilità o le proprie emozioni, l’uomo che non sia necessariamente il pilastro o la colonna portante di un grattacielo, l’uomo che non debba  chiedere sempre, ma che abbia la capacità di non invadere i tuoi spazi, semplicemente restando in silenzio. Oppure colui  che  abbia il coraggio di piangere e di emozionarsi, che non ostenti virilità e macismo, perché riconoscere le proprie debolezze è sintomo di estrema maturità. Rinchiudersi nei “propri” ruoli è forse uno dei mali peggiori di una società in cui si professa l’orizzontalità nei rapporti umani e che pretende di essere il modello e il baluardo di sviluppo e di civilizzazione universale e globale.

Disparità e disuguaglianza che si manifestano palesemente anche all’interno della sfera pubblica, quando  si intromette la normativa nazionale. In conformità a quel principio in cui, donne e uomini sono castrati e censurati  a qualsiasi possibilità di rivendicare una cultura improntata sulla differenza, viene proposta l’ulteriore strategia di rinchiudere le donne all’interno di “quote” o “liste” di preferenza, alzando muri e barriere in grado di condannarle.

La legge n. 215 del 23 novembre 2012, ha introdotto disposizioni volte a “promuovere”(o volevano dire imporre?!?) il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali attraverso la cd. quota di lista che prevede che  nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore a due terzi o l’introduzione della cd. doppia preferenza di genere, che “consente” (anche qui un imperativo celato da una ingiusta concessione) all’elettore di esprimere due preferenze , purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. Dispositivi di legge, coattivi e palesemente discriminanti, che negano completamente la possibilità da parte della donna di riuscire ad emanciparsi utilizzando gli stessi strumenti e potenzialità degli uomini, ma prediligendo scorciatoie in grado di condannarla ad uno stato di perenne subalternità.

Fino a quando non si comprenderà il valore reale del concetto di emancipazione e di indipendenza, la donna sarà costretta a sentirsi sempre e costantemente in “debito” verso qualcuno o qualcosa. Con questo, non sono contraria al principio in sé di rappresentanza o di democrazia “delegata”( che espressa così appare un ossimoro), ma sarebbe forse troppo semplice intravedere il riscatto sociale solo ed esclusivamente utilizzando questi mezzi subdoli e decisamente discriminatori.

Quando la bellezza diviene un alibi e la forza fisica un connotato di virilità, ci si rinchiude all’interno di prigioni di vetro, fragili ed impenetrabili.

Franca è stata stuprata, violentata e sfregiata da fascisti, vermi striscianti. Franca Rame era una militante partigiana, era la voce di chi rimane in silenzio, era la personificazione della cultura e dell’arte, una donna e le sue fragilità. Subì quelle violenze perché era una donna come tante altre, perché non  riusciva a rimanere indifferente e perché come tutte le donne diverse e belle, proprio per questo, aveva una mente.

Dietro al suo feretro pugni al cielo e una coda di drago rossa. Rosso, il colore dell’amore, della resistenza e del sangue versato, quello delle percosse, delle violenze e delle minacce. Le cicatrici indelebili di una forza che manifesta la sua brutalità e la sua irrazionalità, un concetto di forza che non ci appartiene e mai ci apparterà.

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