Intervista a Silvia Mezzanotte: “Ho cantato per gli sfollati di San Felice sul Panaro”

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di Sabrina Ferri 

La bella stagione è arrivata e tra Caronte, Minosse e Lucifero impazzano mare, montagna, relax, ventilatori e insalate a gogò. Ma in uno squarcio d’Italia quest’estate non sarà come le altre. In Emilia Romagna il sisma ha portato via tutto e nonostante molto sia già stato fatto ci vorrà del tempo per ricompattare i frammenti di una vita. Occorreranno forza e coraggio per risollevarsi, per ricostruire, per riconquistare passo dopo passo la propria esistenza.  

Eppure, in una sera tra tante, alla tendopoli di San Felice sul Panaro, una delle zone più colpite dal terremoto, si è tornati per qualche ora a sorridere. Lo scorso 9 luglio Silvia Mezzanotte, voce emiliana dei Matia Bazar, ha deciso di esibirsi in uno spettacolo intenso, sublime, emozionante. Regine è l’omaggio di una grande artista alle maggiori interpreti femminili di sempre rilette in atmosfere jazz: Mina, Maria Callas, Marylin Monroe, Ella Fitzgerald e tante altre.  

Silvia ha così cantato per loro, per le sue Regine, donne e voci memorabili, ma soprattutto ha cantato per San Felice e per il popolo emiliano. Un concerto gratuito, sostenuto dalla San Felice 1893 Banca popolare, che si è tramutato  in un piccolo grande “miracolo”: il dolore è stato inghiottito, seppur per poco,  dalla spensieratezza e dal divertimento, lasciando posto al sorriso, quello vero, spontaneo, autentico. Mediapolitika ha raggiunto Silvia al telefono e l’ha intervistata, ascoltando una voce che sa di mille emozioni diverse.

 

Perché hai deciso di portare le tue Regine nella tendopoli di San Felice?

Perché San Felice è l’epicentro di tutti e due i terremoti più importanti che ci sono stati ed è sicuramente uno dei paesi più colpiti. L’anno scorso avevo portato Regine al teatro di San Felice e guardando le immagini in televisione, dopo il sisma, ho scoperto che questo stesso teatro, nel quale avevo fatto una serata meravigliosa e conosciuto persone speciali, è inagibile, è imploso. Io avevo già da tempo l’idea di andare in una delle tendopoli e, avendo questa conoscenza di San Felice, ho chiamato la Banca e ho detto «voglio venire a portare un mio concerto lì» perché ci sono decine di artisti che si sono mobilitati in  iniziative pro raccolta fondi. E’ ovvio che queste iniziative, però, si fanno lontano dai  luoghi del terremoto perché non si possono andare a fare  là. Io invece ho pensato che le popolazioni che vivono nelle tendopoli siano prive di qualsiasi possibilità di svago e divertimento. Ho pensato che, al di là delle varie iniziative per i soldi che vengono fatte alle quali ho partecipato e partecipo io e con i Matia, fosse importante portare là uno spettacolo che essendo in acustico, perché Regine è molto semplice da amplificare, ci sono tre strumenti e una voce, non avrebbe creato problemi logistici. E così ho fatto. Ho chiesto alla Banca, la quale mi ha dato la logistica e l’aiuto, e poi il Comune e la Protezione Civile mi hanno concesso la possibilità di farlo. Avevo un piccolo palco alto solo trenta centimetri poiché la terra, anche se in maniera molto meno violenta, continua a tremare e quindi anche montare un palco può diventare un problema. Invece no, l’abbiamo montato e devo dire che è stata una serata magnifica.  

Ci sono stati momenti particolarmente emozionanti che ti hanno colpito, magari parlando con persone del luogo o ascoltando storie?

Sì. Quando io sono arrivata nel momento delle prove erano circa le sette e a quell’ora nella tendopoli incomincia la cena. Questa tendopoli ospita circa 170 persone ma fornisce pasti a 1400 persone quindi, man mano che la gente si avvicinava per mangiare, io sono andata in mezzo a loro, ho fatto fotografie, ho chiacchierato, e mi sono resa conto di quanto gradimento ci fosse nei confronti di un’iniziativa volta a portare semplicemente un po’ di allegria e spensieratezza. Forse ciò che mi ha colpita di più è stata una coppia molto giovane che mi ha detto «abbiamo perso tutto ma stasera abbiamo te». Là ho capito che il mio obiettivo era stato centrato. Poi io sono una persona che si emoziona con facilità e sentire il calore accorato e affettuoso di queste persone per una cosa per me assolutamente normale come cantare ha riempito il cuore a me ma anche a loro. E’ stata una serata di vero teatro seguita con attenzione e interesse, tutti si sono divertiti tantissimo.  

Anche tu sei emiliana. Come hai vissuto questa tragedia?

ortunatamente non ho avuto danni. Io abito a Bologna però un palazzo di otto piani, già costruito con criteri antisismici importanti, per resistere a un terremoto oscilla. Essendo all’ultimo piano ho visto lampadari che giravano, cassettoni della cucina aprirsi, sportelli che sbattevano e quindi una paura terribile, forse la paura più grande che abbia mai subito in tutta la mia vita. Dopodiché dopo aver dormito un paio di settimane con le scarpe da ginnastica e la valigia pronta ho pensato che se la casa aveva resistito alle scosse probabilmente mi trovavo nel luogo più sicuro possibile.  

Quanto è stato fatto e quanto pensi ci sia ancora da fare per riportare il sorriso tra questa gente?

In realtà l’emergenza non è ancora finita, il problema è che non c’è più l’attenzione di prima. Il primo step di aiuto è stato fornito e scadrà il 22 di luglio, cioè la Protezione Civile, scaduti i due mesi, per tutti quelli che possono tornare nelle loro case ha l’obbligo di farli tornare a casa. Il problema è la paura, specialmente le persone anziane sono terrorizzate nonostante abbiano le case agibili. Si è fatto tanto grazie ad una rete di protezione, tra Protezione Civile e forze dell’ordine, ma anche grazie alla volontà delle persone stesse perché insomma il carattere emiliano lo conosciamo, è forte, determinato, non pensa che tutto gli sia dovuto ma vuole quello che è giusto per ripartire. Le strutture fondamentali sono già state rimesse in piedi, quello che serve per vivere c’è.

Cosa si deve fare? Bisogna dal punto di vista della burocratizzazione proprio governativa, velocizzare. Le domande che vanno fatte per il recupero dei soldi che sono stati stanziati, mi riferisco ai fondi governativi ed europei, vanno fatte, lo dico con cognizione di causa perché la stessa domanda io l’ho fatta alla Protezione Civile, entro il termine stabilito ma per poter stare dentro questo tempo ci vogliono più squadre di persone che vadano a fare i controlli e stabiliscano la quantità di danni e quali case siano agibili. E’ questo quello di cui c’è più bisogno.

I riflettori mediatici si stanno pian piano spegnendo. Come tenere alta l’attenzione e non dimenticare?

Io ci ho provato con la mia piccola iniziativa, ovviamente il mio intento non era portare i riflettori ma portare la mia musica. Però, secondo me,  se in questo momento altri artisti si mobilitassero andando proprio come artisti di strada, come una volta, senza grandi strutture, sarebbe un modo per tenere alta l’attenzione, soprattutto dei media locali. Poi che ci sia un calo mediatico è fisiologico e credo necessario perché il ritorno alla normalità deve essere sostanzialmente fatto  anche di luci che si spengono perché si devono accendere serenamente le luci delle case, cioè la vita normale. Credo che in questo momento il pallino è nelle mani di Protezione Civile, del nostro governatore, Vasco Errani, dei sindaci delle zone terremotate che stanno facendo un grande lavoro di protezione e che hanno appena fondato un’associazione dei nove comuni terremotati per gestire l’assegnazione dei fondi. Il problema è anche quello, bisogna stabilire delle priorità, cioè i fondi vanno alla scuola di San Felice o a quella di Mirandola? In questo momento la cosa più importante è tenere alta l’attenzione su questo punto, non far calare il silenzio soprattutto sul tempo che serve per il recupero di questi fondi.

 

 

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