Bloomberg,il terzo candidato: gli indipendenti alle presidenziali staunitensi

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La probabile candidatura di Michael Bloomberg e il sistema elettorale USA

Le primarie statunitensi per l’elezione del candidato alla presidenza si avvicinano, e in una situazione dove gli exit poll danno per favoriti Bernie Sanders e Donald Trump, ecco spuntare un nuovo nome: Michael Bloomberg, già sindaco di New York. Non è la prima volta che si vocifera della discesa in campo del milionario settantaquattrenne: pare che pensasse di partecipare alle elezioni presidenziali come indipendente già nel 2008 e nel 2012, ma che alla fine non l’avesse fatto perché non certo di vincere. Sulla carta Bloomberg ha tutte le carte in regola per partecipare alle elezioni: esperienze con entrambi i partiti, la carica di sindaco della Grande Mela e un ingente patrimonio personale per finanziare la campagna elettorale.

Michael Bloomberg, quando era sindaco di New York
Michael Bloomberg, quando era sindaco di New York

Bloomberg ha tempo fino a marzo per esprimere la sua candidatura, che anche quest’anno rischierebbe di essere nella migliore delle ipotesi un incubo giuridico, nella peggiore una sconfitta. Per comprendere questi scenari, bisogna pensare al sistema elettorale statunitense. Non è il voto popolare, infatti, ad eleggere il Presidente, ma quello di 583 Grandi elettori suddivisi tra i vari Stati. Il sistema funziona alla perfezione con un sistema a due candidati, dove questi collegi votano totalmente chi ha il maggior numero di voto negli Stati, senza un criterio proporzionale: anche un punto di percentuale fa la differenza. Il primo candidato (o partito) che ottenga i 270 voti necessari viene eletto presidente degli Stati Uniti. In un’ipotesi di corsa con tre candidati, se nessuno dei tre dovesse raggiungere il quorum necessario, l’elezione del Presidente verrebbe rimandata al Congresso, con le prevedibili complicazioni. Questo, però, non è mai avvenuto.

Lo scenario più probabile, quindi, è quello della “maledizione del candidato indipendente”. Per il funzionamento del sistema elettorale, può capitare, infatti, che pur ottenendo il voto popolare, non riesca a ottenere quello dei Grandi Elettori. I precedenti, in questo caso, non mancano. Nel 2000, il paladino dei consumatori Ralph Nader riuscì ad arrivare addirittura a un 19% dei voti in assoluto, senza però essere in grado di aggiudicarsi alcun collegio elettorale. L’ultimo che riuscì a conquistare qualcuno dei voti dei Grandi Elettori, fu George Wallace, nel 1968, quando le sue idee segregazioniste risuonarono in alcuni stati del sud, spaventati dall’avanzata dei movimenti per i diritti civili. La più credibile e apprezzata candidatura indipendente, però, rimane quella di Teddy Roosvelt: dopo aver lasciato la presidenza da repubblicano, tornò nel 1912 con un partito progressista indipendente, riuscendo a vincere sei stati, ma non riuscendo ad arrestare l’avanzamento di Woodrow Wilson.

Tutte queste candidature indipendenti sono state ispirate dalla differenza tra le opinioni del pubblico e quelle dei candidati di partito, spesso asserragliati su idee che non coprono una terra di mezzo più moderata. La sfida per i candidati indipendenti è sfidare questo sistema binario e occupare il centro cercando di polarizzare i voti di chi non si rispecchia in nessuno dei due partiti.

di Francesca Parlati

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