Obama e Putin: sulla Siria visioni opposte

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obama_putinÈ sulla Siria che si giocheranno i rapporti tra Washington e Mosca nel prossimo futuro. Sono lontani i sorrisi del Ministro degli esteri russo Sergey Lavrov (ancora in carica) e dell’allora segretario di Stato Usa Hillary Clinton quando quest’ultima regalò al collega russo (era il 2009) una scatolina contente un bottone di “reset”, simbolo di un rilancio delle relazioni bilaterali dopo le tensioni legate alla crisi in Georgia del 2008.

Lo scorso settembre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente degli Stati Uniti e quello della Federazione russa hanno pronunciato i loro rispettivi discorsi toccando i temi politici ed economici di più recente attualità: la guerra siriana, la crisi ucraina, l’accordo iraniano e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Washington e L’Avana.

Procediamo a una breve analisi dei rispettivi interventi, iniziando con quello del presidente Obama, il primo dei due a parlare dinanzi alle delegazioni degli Stati membri delle Nazioni Unite.

Nel suo discorso, Obama ha parlato del ruolo degli Stati Uniti nel mondo, citando “vecchi nemici” e “avversari percepiti come tali” (Cina, Russia, Iran o l’Islam) sottolineando che in un mondo integrato nessuna nazione, Stati Uniti inclusi, può isolarsi o prescindere dalla cooperazione con gli altri Stati. Indipendentemente dalla potenza militare o dalla forza economica “Gli USA non possono risolvere i problemi del mondo da soli”, ha tuonato Obama.

Durante il suo speech, il presidente degli Stati Uniti ha più volte utilizzato la parola “together” ossia “insieme”. La cooperazione e l’azione comune, in un’ottica di responsabilità collettiva, sono necessarie per affrontare le sfide del nuovo millennio. In tale contesto nel suo discorso, è più volte emersa l’importanza della diplomazia.

Sulla Siria, i due discorsi hanno evidenziato la distanza di posizioni tra Stati Uniti e Russia. Obama ha esplicitamente definito il presidente siriano Bashar al-Assad un tiranno e in risposta a Putin che vorrebbe lasciarlo al suo posto e lavorare con lui contro i terroristi e gli estremisti sul territorio siriano, ha spiegato che ci sono nazioni che violano il diritto internazionale, nazioni con le quali non si può cooperare solo perché “l’alternativa è molto peggio”. La soluzione in Siria non può essere nient’altro che il cambio di leadership ma, ha spiegato Obama, la cooperazione con tutte le nazioni anche Russia e Iran per risolvere il conflitto siriano, è determinante.

Obama ha parlato poi della Libia della crisi ucraina. In Libia “La coalizione internazionale avrebbe potuto fare di più per riempire i vuoti di potere usati a suo favore dallo Stato islamico” mentre sulla crisi ucraina il presidente USA ha fatto un lungo riferimento alle sanzioni imposte alla Russia dopo l’annessione della Crimea e la successiva aggressione nell’Ucraina orientale. Sanzioni definite “illegittime” da Obama il quale ha confermato la volontà statunitense di non “volere isolare Mosca” piuttosto di volerla spingere verso il rispetto delle norme giuridiche che regolano l’ordinamento internazionale.

Anche parlando di ISIS, Obama ha sottolineato la necessità di un’azione comune. L’ISIS nasce come cancro dal caos iracheno e siriano ed è deviato da un’ideologia falsata. Obiettivo comune (Obama usa di nuovo la parola “together”) è di isolare queste forme di estremismo – ha detto Obama – che infettano così tanti giovani, fornendo una visione distorta dell’Islam.

Sul tema dei rifugiati, Obama ha annunciato l’intenzione di aumentarne il numero negli Stati Uniti fino ad accoglierne 100 mila nel 2017, aggiungendo che non si tratta di semplice carità ma di esigenze di sicurezza collettiva.
Infine i Millennium Goals, il climate change, l’Aids, la Trans Pacific Partnership (l’accordo commerciale in fase di negoziazione che comprenderà quasi il 40% dell’economia globale), l’accordo sul nucleare iraniano (esempio di quanto forte sia il sistema internazionale, di quanto sia importante la diplomazia la quale talvolta è sì difficile, ma va comunque preferita ad altri strumenti) e Cuba (per la quale Obama ha auspicato l’eliminazione dell’embargo da parte del Congresso USA). Ma soprattutto per la prima volta dal suo insediamento, nessuno accenno da parte di Obama a Israele e alla questione Palestinese (il cui vessillo quest’anno sventola al Palazzo di Vetro dell’Onu, grazie alla risoluzione approvata dall’Assemblea Generale che dà all’Anp e agli altri Paesi con lo status di osservatore non membro – come il Vaticano – il diritto di issare la propria bandiera).

Dopo Obama è stato il turno di Putin parlare davanti all’Assemblea Generale (durante il suo intervento, la delegazione ucraina ha lasciato la propria postazione in AG in segno di protesta).
Ecco gli aspetti più rilevanti del suo discorso.
Putin ha sottolineato che, il sistema post Guerra Fredda incentrato su un unico centro di potere (leggi gli Stati Uniti) è ormai obsoleto. Il mondo sta cambiando – ha detto Putin – e la Russia è pronta a lavorare “insieme” ad altri partner sulle basi del consenso e dell’autorità ed eredità delle Nazioni Unite. Sulla Siria Putin è stato chiaro e ha ribadito un concetto più volte dichiarato ossia il sostegno a Damasco e ad Assad: “E’ un errore non cooperare con il governo siriano di Assad. In Siria solo le forze di Assad e i curdi stanno combattendo valorosamente il terrorismo. Per fronteggiare l’ISIS occorre una coalizione internazionale come quella che si creò contro Hitler durante la seconda guerra mondiale”. Questo perché, secondo Putin, il vuoto di potere venutosi a creare in alcuni paesi del Medio Oriente e del Nord Africa ha portato all’anarchia in zone immediatamente occupate da estremisti e terroristi (il riferimento è all’Iraq, alla Libia e alla Siria). “Lo Stato islamico” ha continuato Putin “non è emerso dal nulla ma è stato utilizzato come strumento da usare contro i regimi secolari”.
Contestualmente, Putin ha proposto che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU adotti una risoluzione per coordinare le azioni delle forze che combattono l’ISIS e le altre organizzazioni terroristiche.

Mentre scriviamo, la Francia e la Russia hanno dato inizio ai raid aerei in Siria contro l’ISIS e il portavoce dell’Alto Rappresentante UE Federica Mogherini ha negato una qualche partecipazione di Assad nella futura governance della Siria senza però escludere che i rappresentanti del governo del presidente siriano partecipino ai prossimi negoziati sulla Siria.

E se Stati Uniti e Russia divergono su come affrontare la questione siriana, seppur riconoscendo l’impossibilità di affrontarla senza cooperare gli uni con gli altri, sembra esserci “aria di Guerra Fredda” tra Mosca e Washington su un altro fronte. Secondo la rivista statunitense Foreign Policy, il Dipartimento della difesa americana (meglio noto come “Pentagono”) sta aggiornando i suoi piani militari in previsione di un’aggressione russa nella zona del mar Baltico. Estonia, Lettonia e Lituania, geograficamente vicine al territorio russo, hanno con Mosca un rapporto che rappresenta, sin dalla loro indipendenza, il problema politico centrale non solo per le preoccupazioni relative alla loro sicurezza (sicurezza intesa in senso ampio e che oltre all’aspetto militare comprende quello energetico e politico) ma anche per l’esigenza russa di voler tutelare gli interessi delle comunità russofone che vivono fuori i confini della Federazione. Mosca è temuta e ciò ha portato all’ingresso di Tallinn, Riga e Vilnius nella Nato, avvenuto con il quinto allargamento nel 2004. E se tutt’oggi permangano dubbi sull’effettiva affidabilità della protezione militare americana sulle tre repubbliche, nessun dubbio sulla “sensibilità” dell’area per Mosca e i suoi interessi. Da qui la necessità del Pentagono di rivedere le sue strategie nell’area. Secondo Foreign Policy, la risposta americana comprenderebbe sia un intervento unilaterale sia collettivo nell’ambito della Nato. La pianificazione e l’aggiornamento delle operazioni militari sono prassi ormai consolidate. Ma le voci spaventano ugualmente e sembrano essere legate alla fine dell’amministrazione Obama (nel 2016) e all’inizio di quella che seguirà (democratica o repubblicana che sia). Dalla crisi in Georgia nel 2008 all’inizio della questione Ucraina e alle sanzioni, a Mosca si sono riaccesi nazionalismi che gli Stati Uniti credevano sopiti e la Russia ha avviato un nuovo processo di riarmo militare.

In attesa del successore di Obama, le future pianificazioni strategiche si delineeranno già in base alle intenzioni di Stati Uniti e Russia sulla vicenda siriana.

(di Alessandra Esposito)

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