Amarcord: quando l’Alavés sfidò le grandi d’Europa

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L’Europa è cosa da grandi. E chi l’ha detto? Andatelo a raccontare ai tifosi del Bayer Leverkusen che nel 2002 ha conteso la Coppa dei Campioni al Real Madrid, oppure andatelo a raccontare a quelli del Real Saragozza che nel 1995 hanno strappato la Coppa delle Coppe dalle mani del più quotato Arsenal. O magari fate una capatina nella sconosciuta città spagnola di Vitoria-Gasteiz dove gioca il Deportivo Alavés e riassaporate l’imprevista avventura della squadra iberica nella storica edizione della Coppa Uefa 2000-2001.

Il Deportivo Alavés, o più semplicemente soltanto Alavés, è una compagine spagnola nata nel 1921 e vissuta quasi sempre all’ombra del grande calcio della Liga, relagata nelle divisioni minori o costretta a duri campionati di serie A alla ricerca di sofferte salvezze. L’Alavés torna in Liga nel 1998 e al primo anno in massima divisione centra subito la salvezza; i tifosi biancoblu si preparano ad un altro campionato di sofferenza nella stagione 1999-2000 che riserva invece grandi sorprese e l’Alavés, fra lo stupore generale, termina la stagione a ridosso delle grandi di Spagna e conquista un incredibile quanto meritato piazzamento in Coppa Uefa col sesto posto finale, apprestandosi così a disputare la sua prima competizione europea della storia. La Coppa Uefa 2000-2001 vede qualche piccolo nome (Alavés appunto, ma anche i conterranei del Rayo Vallecano) contrapporsi a potenze continentali come il Liverpool, il Parma o il Porto. L’Alavés, guidato saldamente in panchina dal tecnico José Manuel Esnal che aveva già allenato i biancoblu a metà anni ottanta, si presenta in Europa giocando il suo calcio col collaudato modulo 5-4-1, una difesa ben strutturata anche senza nomi altisonanti (il più celebre è il norvegese Eggen, ex colonna del Rosenborg), un centrocampo solido con il figlio d’arte Jordi Cruyff e l’ex scarto romanista Ivan Tomic, ed un attacco retto dal solo centravanti Javi Moreno, attaccante 26 enne giunto al pieno punto della sua maturazione calcistica e che riesce a coniugare velocità e senso del gol, divenendo unico riferimento della prima linea degli spagnoli. Il primo turno in Uefa per l’Alavés si presenta sotto il nome dei turchi del Gaziantepspor: l’andata a Vitoria Gasteiz termina 0-0, il ritorno in Turchia è pirotecnico, l’Alavés dimostra tutta la sua produttività offensiva ma anche qualche pericoloso buco in difesa riuscendo alla fine a vincere per 4-3 qualificandosi per il secondo turno dove trova di fronte i norvegesi del Lillestrøm, un altro accoppiamento non irresistibile nonostante la squadra di Esnal sia una debuttante assoluta in Europa e, tutto sommato, una piccola squadra anche in Spagna. La gara di andata si gioca in Norvegia e l’Alavés vince 3-1 mettendo ancora in mostra un gioco offensivo di tutto rispetto con Javi Moreno che si sta imponendo come ottimo centravanti e stoccatore; la qualificazione è ormai una formalità e nel ritorno in Spagna i biancoblu si lasciano andare ad una partita sottotono rischiando qualcosa nel 2-2 finale che li porta in ogni caso avanti nella competizione.

La Norvegia sembra essere nel destino di Javi Moreno e compagni che nei sedicesimi di finale pescano il Rosenborg, un avversario che alza leggermente il livello di difficoltà della sfida, anche per l’esperienza pluriennale dei nordeuropei nelle competizioni continentali, in Coppa Campioni soprattutto dove solo quattro stagioni prima hanno fatto fuori il Milan e sfiorato l’impresa contro la Juventus. Per il difensore Eggen, poi, il ritorno a Trondheim è come respirare l’aria di casa e il roccioso stopper potrebbe soffrire di malinconia a sfidare il suo passato. Nell’andata in Spagna le cose non si mettono bene per l’Alavés che con l’1-1 finale si ritrova con metà figura fuori dalla Coppa Uefa, dovendo andare a fare gol o a vincere in Norvegia; qualche tifoso inizia a credere che il sogno sia sfumato, altri dicono anche che tre turni d’Europa per una squadra esordiente sono tutto sommato un buon bottino. Gli unici a credere ancora nella qualificazione sono allenatore e calciatori che si presentano in casa del Rosenborg con la chiara intenzione di vender cara la pelle: gli va anche meglio perchè l’Alavés torna a casa con la qualificazione ed un successo per 3-1 che apre gli occhi anche alle grandi d’Europa che iniziano a guardare con un certo timore quegli sconosciuti spagnoli che stanno stupendo tutti a suon di gol. L’Alavés piace per il suo gioco aggressivo, per quell’organizzazione precisa a scapito di nomi sconosciuti o in attesa di rilancio: si sta imponendo il terzino rumeno Cosmin Contra che fa gola già a mezza Europa, mentre il rendimento di Javi Moreno in attacco ha cominciato a smuovere gli osservatori di parecchie società italiane ed inglesi che si muovono per andare a visionare dal vivo il centravanti spagnolo in lotta per la vetta della classifica marcatori di Uefa. Ottavi di finale: c’è l’Inter di Tardelli, una squadra nata per vincere in Italia e in Europa, ma naufragata già nelle operazioni di salpo con l’eliminazione ai preliminari di Coppa Campioni per mano del modesto Helsingborg e l’esonero o autoesonero di Marcello Lippi dopo il ko in campionato a Reggio Calabria alla prima giornata. L’arrivo di Tardelli non ha modificato le cose e la stagione interista è aggrappata al solo risultato europeo per potersi dire decente: vincere la Coppa Uefa per salvare un’annata altrimenti fallimentare. L’Inter è aggressiva sin da subito nell’andata a Vitoria-Gasteiz, ma l’Alavés va in vantaggio col solito gol di Javi Moreno facendo esplodere il piccolo stadio Mendizorrotza; l’Inter si riorganizza e pareggia quasi subito con Recoba che ad inizio ripresa segna anche la rete dell’1-2 che taglia le gambe agli spagnoli. Ma non basta, perchè poco dopo Vieri realizza l’1-3: è praticamente la fine, l’Alavés pare al capolinea, invece in un battito di ciglia tutto torna in discussione; prima il difensore Oscar Tellez accorcia le distanze su punizione, quindi Alonso sigla il 3-3 mandando in estati la tifoseria spagnola e dimostrando che l’Alavés non solo è una squadra che non muore mai, ma anche che le sue capacità tecniche sono migliori di quanto non si pensasse inizialmente. Il 3-3 favorisce ancora l’Inter per la qualificazione, ma gli spagnoli ci credono fortemente e già col Rosenborg hanno fatto vedere di saper segnare e vincere in trasferta. A San Siro il clima di contestazione verso la squadra di Tardelli è evidente e il pubblico non è molto, l’Alavés, in campo con la solita maglia rosa di coppa a promuovere i vini prodotti nel territorio di Vitoria-Gasteiz, tenta il colpaccio ma la gara è difficile, l’Inter difende il vantaggio dell’andata con le unghie e prova a chiudere la qualificazione in contropiede. Al 77′ Jordi Cruyff prende palla a metà campo, avanza e dal limte dell’area lascia partire un sinistro potente e preciso che batte Frey: 1-0 e i tifosi spagnoli presenti a Milano impazziscono, l’impresa è vicinissima, anche perchè l’Inter, invece di riorganizzarsi, cede il pallino del gioco all’Alavés e si demoralizza ancor di più, subendo anche l’ira degli inferociti sostenitori nerazzurri; il 2-0 al minuto 84 firmato da una sgroppata di Contra sulla fascia e dalla stoccata precisa di Ivan Tomic è la puntuale conseguenza di tutto ciò: l’Alavés è ai quarti di finale di Coppa Uefa, non è un sogno, è tutto reale e con pieno merito.

Fra gli uomi di Esnal e la semifinale c’è l’altra grande sorpresa del torneo, il Rayo Vallecano, i fratelli poveri di Real Madrid ed Atletico Madrid, i figli piccoli della capitale spagnola. E’ un derby, il derby delle favolette iberiche che sognano la finale di Coppa Uefa; rispetto alla sfida contro l’Inter, le cose sono più facili per i biancoblu che liquidano 3-0 il Rayo all’andata in casa controllando la gara il ritorno, persa per 2-1. Anche la semifinale è realtà per un Alavés ormai mascotte della competizione e pronto a giocarsi l’accesso alla finale contro i tedeschi del Kaiserslautern, mentre dall’altra parte si gioca Barcellona-Liverpool, da molti pronosticata come la finale vera. All’Alavés non interessano le finali presunte, i favoriti o i pronostici, agli spagnoli interessa giocare ed andare avanti in una manifestazione in cui sono diventati protagonisti assoluti; nessuno crede ai propri occhi quando i biancoblu demoliscono in casa il Kaiserslautern per 5-1 nell’andata di una semifinale che diventerà straordinaria per gli spagnoli, vittoriosi pure in Germania per 4-1: un computo di 9-2 totale, l’Europa ai piedi di una piccola squadra che sta facendo faville, di una comparsa che sta recitando un copione da attore protagonista e lo sta facendo senza timori, mettendo in mostra buoni giocatori ed un impianto di gioco difficilmente migliorabile. Ora vincere la Coppa Uefa è davvero possibile per il piccolo Alavés che a Dortmund sfiderà il Liverpool, giustiziere del Barcellona nell’altra semifinale.

Il 16 maggio 2001 Liverpool ed Alavés scendono in campo per la finale di Coppa Uefa: da una parte i favoritissimi inglesi, seguiti da un mare rosso di appassionati, pronti a spingere la loro squadra a riconquistare l’Europa dopo 17 anni e l’esilio a seguito del dramma di Bruxelles allo stadio Heysel; dall’altra i piccoli ma agguerriti spagnoli, accompagnati da quei tifosi che vogliono coronare un sogno irrealizzabile sono fino a pochi mesi prima. Quello di Dortmund è uno degli stadi più belli del mondo, grande ma raccolto, le curve attaccate al campo, la visuale perfetta, il clima che si crea è ideale per una finale, è la cornice migliore che Liverpool ed Alavés potessero chiedere per conquistare la Coppa Uefa. Gli inglesi hanno la loro classica divisa interamente rossa, gli spagnoli sfoggiano una casacca inedita che ricorda molto quella del pluridecorato Boca Juniors: completo blu con banda orizzontale gialla sul petto, forse un tentativo psicologico di colmare così il divario di esperienza coi favoriti avversari. La gara inizia e per il Liverpool è subito festa: al 6′ Babbel porta in vantaggio i britannici, al 16′ Gerrard sigla il 2-0; i tifosi neutrali sono già infastiditi di vedere una finale dall’esito già scritto e già rimpiangono la possibile sfida fra Liverpool e Barcellona che, per un beffardo gioco del calendario, è stata invece la semifinale. Ma l’Alavés ha già dimostrato contro Rosenborg ed Inter di non abbattersi nelle difficoltà, si riorganizza e va in gol con Alonso prima della mezz’ora, gara riaperta; ma il Liverpool torna avanti al 41′ quando lo scozzese McCallister, già decisivo contro il Barcellona, trasforma il rigore del 3-1. Durante l’intervallo ricominciano i commenti di quelli che vorrebbero il Liverpool già campione, ma ad inizio ripresa Javi Moreno capovolge tutto realizzando una doppietta velocissima che ristabilisce la parità e porta il centravanti spagnolo in testa alla classifica dei cannonieri della Coppa Uefa con 6 reti, le stesse di Nikolaidis dell’Aek Atene e del polacco Kuzba del Losanna. 3-3, come contro l’Inter, il Liverpool è incredulo, l’Alavés conferma di non mollare e di non cedere mai. La partita si fa più tattica, gli inglesi sono più guardinghi e gli spagnoli iniziano a tirare il fiato dopo la rimonta; poi Robbie Fowler, attaccante del Liverpool, segna ancora al 73′: 4-3. Sembra fatta per i reds, fino all’89’ quando Cruyff trova lo spiraglio giusto per infilare la rete del clamoroso 4-4 proprio quando i sostenitori del Liverpool stavano già per cantare vittoria. Si arriva così ai tempi supplementari dove è prevista la rivedibile regola del Golden Gol (che infatti a breve verrà rivista ed abolita), ovvero chi segna per primo vince la partita, una norma in vigore da qualche anno e che ha contribuito solamente ad infondere paura nelle squadre, terrorizzate dal prendere gol più che incentivate a farne. Per Liverpool ed Alavés, però, la storia è diversa: entrambe se ne infischiano del Golden Gol, del pericolo e della paura, attaccano a testa bassa e vogliono vincere prima dei calci di rigore, in barba alla possibilità di prendere gol e perdere la partita. Il Liverpool prende in mano la situazione, l’Alavés, dopo un’occasione mancata da Cruyff, resta in nove: prima viene espulso l’attaccante Mocelin che nel corso del secondo tempo ha sostituito l’acciaccato Javi Moreno, poi va anzitempo sotto la doccia anche il capitano, il difensore Karmona, cacciato per doppia ammonizione. Infine, a due minuti dai calci di rigore, una punizione di McCallister dal lato sinistro dell’area di rigore viene deviata in rete di testa da Geli, una spizzata involontaria che mette fuori causa il portiere argentino dell’Alavés Herrera: 5-4, è finita, il Liverpool corre sotto la curva inglese, impazzita per la vittoria, i calciatori spagnoli sono sdraiati a terra, sgomenti, distrutti dalla fatica e da una sconfitta tanto rocambolesca quanto dolorosa. Il grande sogno è svanito.

Il pubblico di Dortmund tributa all’Alavés un applauso enorme, un simbolico grazie per la partita emozionante ma anche per una stagione eccellente per una matricola capace di stupire tutti ed arrivare sino ad una finale persa per un’inezia, per un autogol sfortunato. La delusione degli spagnoli è enorme ed atroce, ma la loro dignità è ancor più grande, i rigraziamenti dei calciatori in maglia blu verso i propri tifosi è molto toccante: tutti in lacrime ad applaudirsi a vicenda, consci che un’occasione così, probabilmente, non capiterà più. Nell’estate del 2001 l’Alavés perde qualche pezzo importante, Contra e Javi Moreno passano al Milan a suon di miliardi, anche se non troveranno molta fortuna in Italia da dove ripartiranno solo un anno dopo. L’Alavés ha conosciuto anni complicati e dieci anni consecutivi senza Liga, serie riconquistata solo nel maggio del 2016, ricompattando una tifoseria delusa dalle ultime stagioni tribolate, ma legatissima ad una squadra piccola e dal palmares pressochè inesistente, ma che per un anno è stata forse la più amata da un’Europa che ha sperato in una vittoria storica, epocale e che, anche se non arrivata, ha collocato per sempre quel Deportivo Alavés nel prezioso archivio dei ricordi indimenticabili della storia del calcio.

di Marco Milan

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