Jenin. Incubi di guerra, in scena al Piccolo Teatro dell’Università della Calabria

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di Fabio Grandinetti

Una fetta enorme della popolazione mondiale, divisa in circa 60 Stati, è coinvolta in oltre 300 conflitti di vario genere. La guerra veste con disinvoltura tanto i panni della storia, quanto quelli dell’attualità, manifestando il suo aspetto universale e totalizzante capace di accomunare l’uomo in tutte le epoche storiche che conosciamo. Cambiano gli strumenti, le dottrine politiche, le ripercussioni economiche, ma la forza con cui la guerra pervade la dimensione umana, sconvolgendo le vite degli individui, è rimasta pressoché invariata. Parlare di guerre dunque, in tutte le forme analitiche e interpretative di cui disponiamo, è sempre pertinente.

Anche questo è alla base di Jenin. Incubi di guerra, lo spettacolo teatrale andato in scena lo scorso giovedì 18 aprile dal palco del Piccolo Teatro dell’Università della Calabria, a chiusura del progetto “S-cambio di residenza. Rassegna di traslochi teatrali”. La rassegna di quattro giorni, finalizzata all’incontro artistico tra le compagnie che gestiscono le residenze teatrali calabresi, ha portato sul palco del teatro universitario la compagnia teatrale Lalineasottile e il suo Jenin, una tragedia con l’adattamento e la regia curati da Massimo Costabile, e con l’attrice Antonella Carbone.

Più che raccontare la storia di una donna, lo spettacolo opera un’intensa di introspezione umana ed emotiva sulla figura di una donna disperata, sola, vittima “simbolica” ma non casuale di tutte le guerre. Alla pura narrazione il testo preferisce il racconto mediato dal sogno, che inevitabilmente diviene incubo. La memoria annebbiata da orribili visioni rincorre la realtà, distorcendone la percezione e portando alla follia. Il tono, volutamente uniforme ed ossessivo, trasmette efficacemente quel senso di angoscia che solo l’oppressione e la violenza riescono a provocare. Ciò che emerge è anche lo spaventoso smarrimento del sé e il difficile adattamento all’identità ereditata dall’esperienza di guerra.

Lo spettacolo vive di citazioni e riferimenti a Le Troiane di Euripide, a Incubi di Beirut di Ghada Samman e a Jenin, un campo palestinese di Tahar Ben Jelloun. Un incontro tra letteratura e teatro tragico che attraversa i millenni, dall’antichità alla stretta e urgente contemporaneità, e testimonia quanto lo strumento della letteratura e dell’arte possa essere il più adatto a descrivere e raccontare l’esperienza della guerra, la devastazione dell’individuo, del suo mondo interiore e del suo vivere associato.

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