Ma perché stai sempre con quel benedetto cellulare?

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di Eloisa De Felice

Un episodio, veramente accaduto, vuole che un collega giornalista, sempre in viaggio per il mondo, non veda mai suo figlio adolescente. Il venerdì sera, però, è la loro serata. Il padre si ritaglia due ore e lo porta sempre a cena fuori in qualche posticino a Roma. Del resto la città eterna offre così tanto in fatto di soddisfazione del palato. C’è sempre e solo l’imbarazzo della scelta. Ma il giovane appare distaccato. Neanche entrano in un ristorante è lì con il telefonino. I due, parlano, sì, ma non guardandosi mai in faccia. Sempre lì con i pollici a digitare qualcosa. Sembra che proprio non gli importi nulla di suo padre e della fatica che fa per ritagliarsi quelle due ore a settimana.

Una sera il padre, più infastidito del solito, dal continuo ticchettio: “ma perché stai sempre con quel benedetto cellulare? Possibile che proprio non ti interessi di passare un po’ di tempo con me? Non ci vediamo mai! Ti chiedo solo due ore del tuo tempo! Ma che diavolo avrai mai da scrivere?”

Il ragazzo, per nulla turbato dal tono e dalle accuse paterne, come se non aspettasse che quella domanda: “Appena arriviamo in un posto devo fare il check-in su Foursquare. Poi, aggiorno il mio status su Facebook dicendo che sono con te, dove sono e quel che mangio. Quindi, devo aggiornare il mio blog di cucina, con le foto dei piatti, i commenti, i punteggi. Perché ho aperto un blog, sai?! Tu mi porti a mangiare sempre cose così diverse! Ho pure un bel po’ di followers. Sto costruito la mia reputazione come critico culinario online grazie alle nostre cene, grazie al fatto che mi porti in posti incredibili. Io non ho un euro. Mica posso andarci, senza di te, in certi posti! Ora mica sari arrabbiato perché scrivo di cosa mangio con te. Senza di te e senza le nostre cene io non avrei tutto il network che ho!”

Il padre, a bocca aperta, resta letteralmente sconvolto dalle dichiarazioni del figlio. Chi avrebbe mai creduto che su quelle cene entrambi fossero riusciti a costruire così tanto. Il padre, però, razionalizzata la cosa, si morde a morte le mani: “che tonto che sono! Se solo avessi chiesto ‘perché’ un po’ prima … quanto tempo avrei guadagnato?”

COMMENTA L’ESPERTO – “Perché” non è una parola come le altre. Se si ritiene, come molti, che anche altre specie sono in grado di comunicare, allora chiedersi “perché” è l’evidente scarto evolutivo che ci vuole privilegiati. Una parola in grado di far tremare. Temutissima quando i bimbi arrivano alla cosiddetta fase del “perché”, insistente e per ogni cosa. A rifletterci, basilare per lo scambio di scienza e conoscenza tra generazioni. Chiave di volta che ci ha permesso di andare avanti e arrivare dove siamo. Quanto sarebbe bello se non perdessimo, nel corso della vita, il gusto e la semplicità di chiederci-si costantemente “perché”? Basta questa parola, così spesso, per cambiare-ci letteralmente la vita!

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