Politiche 2013 – L’ingovernabilità che uccide l’economia

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di Emiliana De Santis

“E’ evidente a tutti che si tratta di una situazione delicatissima per il paese. Gestiremo le responsabilità che queste elezioni ci hanno dato nell’interesse dell’Italia” così Pierluigi Bersani, leader del Partito Democratico, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio quando ormai i risultati erano chiari a tutti. Non hanno pensato lo stesso i mercati che di fronte all’impasse  uscita dalle urne, hanno reagito molto male: una settimana di spread ballerino, borse sfiduciate e dichiarazioni al vetriolo. Perché l’Italia non è la Grecia ma il rischio che Roma si incendi come Atene è vivo e presente nelle aspettative di azionisti e investitori, sia italiani sia stranieri.

Il “Governo del chi ci sta” non è certo l’ipotesi che più rassicura i mercati. Non è detto che non possa essere quella che effettivamente faccia bene a un’Italia imbarcata sul battello ebbro dei se e dei ma, che potrebbe essere forse governata da un esecutivo monocolore di minoranza o da un’alleanza a Palazzo Madama con il Movimento 5 Stelle e il centro di Monti. Forse. Per ora lontana l’ipotesi del governissimo Pd – Pdl che, pur potendo contare sui numeri dell’emiciclo, non piace agli investitori, soprattutto esteri, che in Berlusconi vedono il buco nero dell’economia italiana. Più probabile che Berlusconi e Bersani si alleino per la scelta del capo dello Stato, magari convergendo su una figura come quella di Giuliano Amato, gradito all’Europa e a tutti i suoi azionisti, a quel Mario Draghi appiglio di credibilità. È a questo punto doveroso chiedersi se e perché è giusto essere così compiacenti, se stiamo facendo il nostro bene o quello dell’Europa, del mondo, della banche, dei capitali esteri. Giusto. Ma l’Italia non può pensare di ripartire senza capitali, senza liquidità e soprattutto senza idee. Un rapido sondaggio tra i passanti di Piazzatta Cuccia, a Milano – broker, azionisti, uomini di borsa – palesa il rischio fuga: dai grillini ci si aspetta responsabilità,  allo stesso modo in cui ci si attende l’apertura dei democratici e un ruolo importante per il Professore.” Utopia. Proprio quel Monti uomo delle tasse, prima speranza di rinascita e poi facilitatore dell’impero delle banche. Senza dietrologie, uno dei passanti, commenta: “Sapevamo che Monti non ce l’avrebbe fatta ma almeno c’era la speranza, quella piccola componente di aspettativa, incontrollata variabile di ogni equazione economica che si rispetti”. In sostanza quello che ci ha voluto dire l’Economist con una copertina che ricalca e amplifica le parole del segretario della socialdemocrazia tedesca, infelici certo, menzognere non troppo. Continua: “La nostra maggior paura è che lo sforzo fatto sin ora con le finanze pubbliche, pur quasi sulla soglia del completamento, possa venir gettato – e senza troppi rimpianti – nel calderone dell’ingovernabilità. Si poteva ripartire da zero per risalire la china, ma servivano scelte importanti. Queste urne, così chiassose, così incerte, sono state meno responsabili di quanto ci aspettassimo”. Ed è boom per lo spread con i titoli tedeschi, che tocca quasi i 350 punti base. Nessun Monti può arginare la piena, gliene è mancato il coraggio.

Lo stesso rapido passaggio tra gli imprenditori del Nord-est, quel trilatero dei miracoli, tuona parole forti, troppo tempo inascoltate e trasformatesi in voti persi sull’altare della chiusura. Un Pd che non sfonda la ex roccaforte leghista, votata a Grillo in attesa della rivoluzione “che prima o poi ci sarà se nessuno farà niente per arginare il declino”. Imprese strozzate dalle tasse, dimenticate dai programmi elettorali – se non quello del M5S, l’unico ad essersi rivolto alla piccola e piccolissima impresa, dimenticando il resto – senza accesso al credito, battenti dell’Italia produttiva che chiudono le porte dell’occupazione, all’11 percento su base nazionale ed oltre 38 punti percentuali nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni. In pratica l’Italia del domani bloccata nel presente, zavorrata da un passato di scelte sbagliate che ha radici nella Prima Repubblica, in cui tutto sembrava funzionare ma niente in pratica andava per il verso giusto. Cosa dobbiamo aspettarci? Questo dipenderà dalle alleanze, se ci saranno alleanze: niente F35 e reddito minimo oppure tutela delle imprese, l’improbabile quanto incostituzionale rimborso Imu o la poderosa cancellazione contabile – eppur non reale, ben attenti – di 400 miliardi di debito pubblico che farebbe forse diminuire i tassi d’interesse per proseguire imperterriti sulla strada del ciò che appare e non del ciò che è. Scie deflazionistiche (l’Italia si mantiene ben lontana dal tetto del 2% fissato dalla Bce) o, peggio, stagflazione, stagnazione. Uhm, no, nella stagnazione ci siamo già.

Res pubblica italiana. Scelta per il bene dell’Italia, in un Paese dove l’interesse, angusto, singolare, privato, ha preso il sopravvento. Questo l’economia si aspettava dalla urne.

 

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