Intercultura. La sottile linea rossa tra web e realtà

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di Emiliana De Santis

Una tre giorni di dibattito, studio e approfondimento che ha preso il via lo scorso giovedì a Firenze, si focalizza sull’importanza del contatto fisico e, quindi, sul ruolo del corpo, nell’era digitale. Promosso dalla Fondazione Intercultura Onlus – costola dell’omonima associazione fondata in Italia quasi 60 anni fa – il convegno ha come leitmotiv quello della full immersion fisica e mentale, nel vasto mondo degli scambi internazionali.

Intercultura, che ha quale obiettivo quello di promuovere la mobilità dei giovani studenti delle scuole superiori, si pone da sempre il problema della diversità e del rapporto tra il sé e l’altro. Conta su un esercito di 4mila volontari, armati di pazienza, curiosità e soprattutto di buona volontà, i quali ogni anno selezionano i partecipanti, si attivano per ottenere le borse di studio ed infine attivano e gestiscono i corsi di formazione per i ragazzi in partenza. Sono ex studenti, genitori di famiglie ospitanti, insegnati che hanno capito il valore dello scambio: non si tratta di fuga né di scarso amor patrio, ma del voler arricchire il proprio essere e, in conseguenza, la società, tramite un’esperienza di vita all’estero. Illustre difensore della causa, è l’Ambasciatore Roberto Toscano, presidente della Fondazione, che ad oggi dichiara: “Ero un ragazzino di 16 anni di Parma e mi proiettai come un cosmonauta su quella che per me la Luna: il Texas. Vivevo con una famiglia americana e fu un’esperienza straordinaria, di completa rottura con il mio mondo [..] però, forse, non sarebbe stato lo stesso se fossi rimasto in contatto con le mie radici, magari con Facebook”.

Oggetto delle giornate di studio fiorentine è proprio il ruolo che Internet e i social media possono svolgere in tal senso. La rete ci catapulta in ogni luogo e in ogni momento, a qualunque ora del giorno, senza costi proibitivi e senza nemmeno muoverci dalla scrivania. Un grandissimo vantaggio, in particolare se pensiamo alla miriade di corsi online – dei quali si è parlato anche su Mediapolitika – che permettono a un gran numero di utenti, prima esclusi dalla conoscenza, di acquisire competenze e sviluppare un network relazionale di una vastità fino a 10 anni fa impensabile. Questo tuttavia non deve fuorviare dal valore, assolutamente insostituibile, dell’esperienza fisica che aiuta i ragazzi a crescere e a capire, nel profondo, il valore umano e culturale della diversità. Un incontro tra questi mondi è possibile e doveroso, come spiega bene Susanna Mantovani, docente di Pedagogia generale all’Università Bicocca di Milano: “ [..] le nuove tecnologie offrono opportunità straordinarie, ma l’esperienza deve essere vissuta e non soltanto mediata da strumenti hi-tech: se pur straordinari, spesso non aiutano ad approfondire e incoraggiano la superficialità”.

Se poi, come suggerisce Paolo Ferri, autore del libro “Nativi Digitali”, i genitori volessero accompagnare i loro figli in questa esperienza, ci sarebbe solo di che guadagnarne. Lo dimostrano i dati Istat secondo cui le famiglie con almeno un figlio sono più tecnologiche: quasi l’84 per cento di queste possiede un computer connesso alla rete rispetto a una media delle famiglie italiane che supera di poco i 50 punti percentuali. Per una volta possiamo essere noi, figli del web, ad insegnare ai nostri genitori come si vive nella realtà di Facebook e Skype.

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