Carnevale a Cuba: crogiolo di costumi e tradizioni. Le foto di Pasquale Chiurazzi

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di Lucia Varasano

Abiti eccentrici e dai colori sgargianti, giganteschi carri allegorici illuminati con a bordo musicisti e ballerine, folle danzanti e balli sfrenati. Quando pensiamo al Carnevale, slegare i neuroni dalle immagini che ci fanno naufragare nell’America Latina e nel mare dei Caraibi, è davvero un’operazione complessa. Come d’altronde scollare gli occhi dal reportage di Pasquale Chiurazzi, fotografo, regista, direttore artistico, che ha curato diverse mostre e pubblicazioni, instancabile viaggiatore con la passione per Cuba.

D’altronde non può che essere così in un’isola-ma anche arcipelago- dal ricco repertorio di eventi carnevaleschi, ce ne sono almeno tre più importanti e spalmati nell’anno solare, da novembre a febbraio, e perfino luglio. La tradizione carnevalesca cubana, affermatasi nel suo volto moderno in seguito alla rivoluzione, rispecchia la storia dell’isola, è un prodotto creolo così come lo è la cucina (detta criolla, nata dalla fusione della cucina indiana, africana e spagnola). È legata alla composizione della popolazione dalle variegate etnie, alle vicende coloniali, alle guerre d’indipendenza, al miscuglio con le tradizioni europee, alle influenze della religione cattolica, che ne ha eliminato i caratteri più violenti e connaturati alla trasgressione sessuale.

Spesso si confonde, e assume i tratti delle feste che ricordano l’anniversario di fondazione delle varie località. A Santiago, coincide con la fine della raccolta della canna da zucchero, ma anche con le celebrazioni della festa nazionale. È il carnevale cubano più importante, e non a caso si tiene nell’ultima settimana di luglio, rimembrando quel fatidico giorno del 1953 in cui, approfittando del caos dei festeggiamenti, Fidel Castro assaltò la caserma Moncada segnando l’inizio della rivoluzione cubana. All’Avana, come nelle altre località dell’isola, ha origine dalle feste mascherate degli schiavi neri dei XVIII secolo, a cui veniva concesso un giorno di libertà, chiamato il Giorno del Re, che coincideva con l’Epifania. Era il carnevale dei neri insomma- secondo una credenza legato al culto del Re Melchiorre, uno dei Magi- che dovette scontrarsi con quello dei “bianchi” e fu proibito poi nel 1914 dalle autorità dell’Isola.

Così come venne proibito il suono dei “congas”, i tamburi africani, che adesso, sono i padroni del carnevale. Sistemato il problema della connivenza di due carnevali dell’Avana, il bianco ed il nero, i “congas”, divennero uno strumento emblema della musica afro-cubana. Anche se col tempo sono cambiati i nomi e i colori delle varie manifestazioni carnevalesche, senza tralasciare la tradizione dei“Cabildos”, dei“Mojingangas Pelusodos” o “Kokoricamos”, quella delle “comparse” è arrivata ai giorni nostri. La Conga, divenuto genere musicale, accompagna oggi i cortei carnevaleschi, sfilando per le strade e le piazze, dando il ritmo a “le comparsas”, gruppi di ballerini e musicisti che provengono dalle scuole d’arte e dal circo, che ballano ininterrottamente insieme al pubblico e si cimentano in coreografie ed esibizioni che preparano durante l’intero anno.

Da cent’anni così, sfilano in costume, assieme ai “munacones” (maschere di cartapesta che rappresentano delle antiche divinità) le comparse de “L’Alacrán”, “La Jardinera” e “Los Marqueses de Atarés” (aristocrazia coloniale), rievocando l’antico transitare dei neri, che simbolicamente diventa il loro avanzamento nella società e la conquista dei loro diritti.

servizio fotografico di Pasquale Chiurazzi

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