Siria: mentre l’Onu resta a guardare

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di Andrea Ottolenghi

“In Siria sono stati raggiunti livelli di orrore senza precedenti”, sono le ultime dichiarazioni dell’inviato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in Siria, Lakhdar Brahimi: “Il paese si sta disgregando sotto gli occhi di tutti. Solo la comunità internazionale può fare qualcosa e il Consiglio di sicurezza non può continuare ad aspettare di trovare un accordo tra i paesi membri”.

Le parole di Brahimi sono arrivate alcune ore dopo il ritrovamento di 71 persone morte giustiziate, nelle vicinanze del fiume di Aleppo. Il Governo di Bashar Al-Assad e il capo dell’opposizione Ahmed Moaz Al-Khatib, si sono accausati reciprocamente della strage. Si tratta solo dell’ultima di una lunga serie di atrocità che, da quasi due anni, ci mostra questa terribile guerra. Stupri, violenze su minori, rapimenti ed esecuzioni, si verificano ormai anche nei campi profughi delle Nazioni Unite in Turchia, Libano, Giordania, Iraq e Egitto; esasperando una situazione resa difficile già dalla carenza di adeguate cure mediche e dall’alto numero di persone ammassate lì da mesi. Secondo i dati dell’ONU, infatti, il numero dei profughi ha raggiungo i 700 mila e continua a crescere

Le parole di Lakhdar Brahimi esortano anche il Consiglio ad uscire dalla paralisi in cui si trova: da una parte Stati Uniti, Inghilterra, e altri paesi occidentali favorevoli a intervenire, se non militarmente, almeno con sanzioni che indeboliscano il regime di Damasco; dall’altra parte Cina e Russia che continuano a porre il veto su qualsiasi tipo di risoluzione. Il mese scorso, il Ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, aveva compiuto un primo tentativo di riconciliazione tra il regime e l’opposizione, proponendo un incontro che si sarebbe dovuto svolgere o a Mosca, o  a Ginevra, o al Cairo. Ma il Primo ministro Medvedev, contrario a qualsiasi intervento esterno in Siria, ha fatto naufragare il progetto, nonostante in una recente intervista alla Cnn abbia affermato che Assad ha sempre meno possibilità di rimanere al potere.

Ad aumentare la tensione, lo scorso 30 gennaio, è stato un raid aereo israeliano, che, secondo la televisione di stato siriana, avrebbe colpito un sito di ricerca militare siriano, ma che da quanto afferma Tel Aviv ha solamente intercettato un convoglio di armi vendute dalla Siria a Hezbollah, tesi supportata dagli Stati uniti, che hanno subito condannato Damasco per i suoi rapporti col gruppo estremista libanese.

Nel frattempo, nell’immobilismo della comunità internazionale, il numero di morti civili in Siria ha superato i 60 mila, cifra destinata o condannata, purtroppo a crescere.

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