Politiche 2013, quali proposte contro la precarietà?

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di Fabio Grandinetti

“Manifesto Io ci sto”, “L’Italia giusta”, “Un’agenda per un impegno comune” sono i nomi di alcuni dei programmi elettorali proposti in vista del voto di febbraio. Individuarne gli autori è tutt’altro che difficile, tanto quanto rintracciarli sul web. Prassi politica vuole che gli elettori, indecisi e non, basino le proprie scelte anche sulla scorta di una comparazione tra i programmi politici presenti sul mercato elettorale. Certo, in tempi di antipolitica e di diffusa sfiducia nei confronti delle istituzioni verba volant, scripta pure. Ma resta un esercizio utile confrontare le proposte di coloro i quali, si chiamino partiti, liste civiche o movimenti, rimangono gli unici soggetti incaricati di rappresentare gli interessi e le istanze dei cittadini. E allora, quali ricette avanzano i vecchi, nuovi e nuovissimi soggetti politici sul tema della precarietà?

Beh, in questo caso l’esercizio democratico precedentemente accennato rischia di favorire l’unico grande partito senza un programma, vale a dire l’astensionismo. Sì perché tra Pdl, Pd, “Scelta civica per l’Italia con Monti”, M5S e “Rivoluzione civile” di Ingroia, in un solo caso viene menzionata la parola precarietà, e non si tratta di uso di sinonimi.

Nel programma del Pdl, all’ottavo punto, sintomaticamente intitolato «dalla parte delle imprese, dalla parte del lavoro, dalla parte delle professioni» vengono proposti il «riconoscimento alle imprese, per le nuove assunzioni di giovani a tempo indeterminato, di una detrazione dei contributi relativi al lavoratore assunto, per i primi 5 anni», la «totale detassazione dell’apprendistato 
fino a 4 anni» e il «ritorno alla Legge Biagi».

Paradossalmente il M5S parla di «abolizione della Legge Biagi», oltre che di «sussidio di disoccupazione garantito». Ma il manifesto programmatico grillino, suddiviso nei sette punti Stato e cittadini, Energia, Informazione, Economia, Trasporti, Salute, Istruzione, trascura colpevolmente le tematiche del lavoro e della precarietà.

La “Agenda Monti” avanza «un Piano Occupazione giovanile con incentivi a sostegno della formazione e dell’inserimento nel mercato del lavoro e con forme di detassazione per chi assume lavoratori tra i 18 e i 30 anni», capace di «coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale dei lavoratori nel mercato del lavoro», in modo da realizzare «un modello di flessibilità e sicurezza vicino a quello vincente realizzato nei Paesi scandinavi e dell’Europa del nord».

Il programma politico di “Rivoluzione civile” di Ingroia, in assoluto il più snello, pare più una dichiarazione d’intenti. In esso si auspica «che lo sviluppo economico rispetti […] i diritti dei lavoratori» e «il ripristino del diritto al reintegro se una sentenza giudica illegittimo il licenziamento».

Il programma del Pd «assume il lavoro come parametro di tutte le politiche». Per vincere «la battaglia per la dignità e l’autonomia del lavoro» si propone di «contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro» e di «spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti».

La speranza è l’ultima a morire, ma certo una maggiore attenzione da parte del mondo politico al lavoro, al tema della precarietà e ai suoi risvolti sociali, politici, economici e giuridici, almeno nella tanto leggera e volatile fase programmatica della campagna elettorale, avrebbe reso quella speranza, un sentimento così tanto raro oggi, un po’ più forte.

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