Accordo Lega-Pdl, quello che Maroni non dice

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di Fabio Grandinetti

“Dillo a Maroni” è il nome dell’evento presentato dallo stesso segretario della Lega nella conferenza stampa del 10 gennaio per la presentazione della propria candidatura alla presidenza della regione Lombardia. Certo, la scelta del nome lascia ampio spazio a facili ironie. Sì perché di cose da dire al neo leader padano ce ne sarebbero tante. Non ultima una spiegazione sul nuovo patto d’acciaio stretto con il PDL e con Berlusconi.

La Lega, messo a letto il senatur, mandato in punizione il figlio Renzo, espulsi e sconfitti i “virus” Belsito e Rosy Mauro, si ripresenta ai propri elettori più pura, limpida e contadina che mai. «Mai più con Berlusconi» tuonava il segretario qualche mese fa, ma gli scenari non potevano che essere questi. D’altra parte gli obiettivi sono chiari da entrambe le parti. Se Maroni e la Lega puntano al Pirellone, Berlusconi mira all’impasse in Senato e al vuoto di governo. Divisi sarebbero persi e chi credette agli annunci leghisti di mancato accordo dovrà ammettere di aver peccato di ingenuità. Sull’orlo del baratro i due alleati storici, ai minimi livelli di gradimento da oltre un decennio, tornano a stringersi la mano e Maroni, per far digerire il boccone ai propri elettori, ha pensato bene di spararla grossa: tenere i soldi delle tasse lombarde: «se per far sì che resti in Lombardia il 75% delle tasse pagate dai cittadini lombardi servirà trasformare la Regione in un ente a statuto speciale, si farà» ha affermato in conferenza stampa.

Più che ascoltare i propri elettori, Maroni dovrebbe dir loro quanto consapevole egli sia, infondo, di aver puntato sul cavallo perdente, o quantomeno non vincente, alle prossime elezioni politiche, e di quanto irrealizzabile sia la sua proposta, qualunque sia il prossimo inquilino di Palazzo Chigi. Una Lombardia a statuto speciale richiederebbe una riforma costituzionale, e una revisione dell’apparato fiscale in termini tanto localistici sarebbe difficile da applicare persino per gli “inventori” in Italia del federalismo fiscale.

Ma il segretario Maroni non può dire tutto questo ai propri elettori. Non può dire che l’accordo con il PDL, più che finalizzato a trattenere i 16 mld in più all’anno di cui parla per abolire IRAP e bollo auto in Lombardia, è figlio di una scelta strategica obbligata. Meglio ascoltarne le richieste più ardite e fantasiose, recitando la parte della moglie sospettosa, dell’alleato diffidente disposto a stringere accordi scomodi pur di far venire “prima il Nord”.

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