Egitto “revolution in progress”: a due anni dalle prime manifestazioni contro Mubarak

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di Alessandra Vitullo

Sono passati precisamente due anni da quando iniziarono le prime proteste in Egitto, che denunciavano delle irregolarità avvenute durante le elezioni legislative. Da quelle due settimane di novembre, una lunga serie di manifestazioni divamparono per tutto il Paese, fino a che, l’11 febbraio 2011, giunsero a porre fine alla trentennale dittatura di Hosni Mubarak.

Da quel giorno un duro cammino è cominciato per l’Egitto. Un Paese alla ricerca di democrazia, di diritti costituzionali, civili; un Egitto che usciva da trent’anni Stato di emergenza e che tentava di calibrare le nuove forze dei movimenti civili, la pluridecennale supremazia militare e le secolari autorità islamiche, in un unico governo, eletto plebiscitariamente e legittimamente.

Il 2012 è stato un anno di forti tensioni tra le due autorità che si sono ritrovate a contendersi le redini del nuovo Egitto: la Fratellanza musulmana e il Consiglio supremo delle forze armate (Csfa). Dopo le deposizioni, avvenute quest’estate, del capo del Csfa, nonché ministro della difesa, Hussein Tantawi e dal capo di Stato maggiore Sami Anan, era ormai chiaro che il lungo braccio di ferro era stato vinto del nuovo partito islamico Liberà e Giustizia, braccio politico della Fratellanza musulmana, guidato da Mohamed Morsi, Presidente della Repubblica egiziana ormai da quasi sei mesi.

Dall’altra parte del Mediteranno quella piazza Tahrir straripante di persone, soprattutto di giovani, che uniti “facevano la rivoluzione” era stata accolta con grande entusiasmo, forse troppo, prematuro. In pochi si sono resi conto che la “rivoluzione” compiva solo il primo passo di un lungo processo politico che richiedeva e che richiederà, ancora molto tempo per vedere realizzati i suoi obiettivi.

L’elezione democratica di un Presidente islamista in un Paese così determinante per l’area Mediorientale, ha scomposto e ricomposto gli equilibri geopolitici di metà pianeta: si riconfigurano nuove posizioni sul conflitto israelo-palestinese, di cui abbiamo potuto vedere alcuni effetti la settimana passata, si ridiscute di politica e partnership con Stati Uniti, Europa e vicino Oriente. Per non parlare di politica interna: tutto da rifare, tutto da reinventare.

Le protese in Egitto di questa settimana hanno fatto subito pensare che qualcosa nel Paese “doesn’t work”, non funziona. Lo scorso 22 novembre, con una Dichiarazione costituzionale Morsi ha, infatti, affermato che le decisione del Presidente sono al di sopra della magistratura e arroga per sé il diritto di prendere qualsiasi tipo di decisione al fine di “proteggere la rivoluzione e per aiutare la nazione a raggiungere un’unità nazionale”. Nella dichiarazione il Presidente ha anche affermato che saranno riaperti i processi per gli ufficiali accusati di aver commesso dei crimini durante i giorni della rivoluzione e ha promesso risarcimenti per le persone e le famiglie che hanno subito delle perdite durante i 18 giorni di Piazza Tahrir.

Ma questo non è servito a calmare le proteste, immediatamente centinaia di cittadini si sono ritrovati per le strade del Cairo per “proteggere la rivoluzione” e per richiedere il ritiro della Dichiarazione costituzionale; alla fine, circa un centinaio di persone sono rimaste ferite negli scontri con la polizia.

Nonostante ieri il Presidente abbia dichiarato che si tratta di un provvedimento “temporaneo”, in Egitto la tensione e soprattutto l’attenzione resta alta. Memori della dittatura e delle potenzialità dei movimenti civili e dei loro strumenti, come internet, l’andamento dell’operato del presidente Morsi viene costantemente monitorato dal Morsimeter, un contachilometri politico che segna i progressi effettuati dalla nuova legislatura e le promesse attese dal Presidente.

Morsi sembra essere al 39% dei consensi, uno dei picchi più bassi della sua legislatura. I Fratelli Musulmani, in risposta, si adeguano alla tecnologia e con il loro profilo Twitter, cercano di rassicurare gli egiziani a suon di Tweet:

Ikhwanweb ‏@Ikhwanweb

MT “@wbadry: what happens nowadays proves that some Egyptians likes chaos to rule. Opposition is not to destroy but to enhance and build.”

Forse, senza troppi allarmismi, o presagi di sciagura, che prevedono “il ritorno di un nuovo faraone”, bisognerebbe semplicemente riconsiderare che in Egitto una rivoluzione è ancora in corso e che anzi è incominciata da poco.

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