Famiglie sempre più povere, crollano i consumi

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di Emiliana De Santis

Il dato è il peggiore dal 2000 e supera il record negativo del 2009, che ci era sembrato l’abisso oltre il quale non saremmo mai sprofondati. Lo studio condotto dal Centro Europa Richerche (Cer) in convenzione con l’Ires Cgil, conferma i dati diffusi a ottobre dall’Istat e le conclusioni della relazione annuale della Banca d’Italia. Situazione critica, dunque, per le famiglie italiane: il loro reddito disponibile, al netto dell’inflazione, ha subito in sette anni una perdita di 90 miliardi euro.

La ricerca, basata sulle serie storiche, analizza i livelli nominali e reali del reddito disponibile delle famiglie italiane dal 1964 fino al 2014, suddividendo la storia economica in tre fasi. La prima, dal ‘64 al ‘92, ha fatto registrare un aumento generale dei redditi, seppur con alti e bassi. Valore attestatosi mediamente intorno a un non esplosivo ma pur buono 4% della capacità di spesa delle famiglie. La seconda, è stata caratterizzata da un sostanziale rallentamento e da un periodo di stasi che ha mitigato la crescita intorno a cifre prossime allo zero. La terza e ultima fase, dal 2008 e fino al 2014, è infine la peggiore di tutte perché non solo i numeri non hanno tenuto ma si è registrato un brusco segno meno che sta praticamente azzerando i guadagni realizzati dal 1996 ad oggi. Se poi si considera che, come sottolineato dall’Istat, è diminuita anche la propensione al risparmio, fondamentale tassello della tradizione economica italiana, il quadro si colora a tinte fosche.

“Per dimensioni e durata, questa serie storica non ha paragoni nelle serie storiche del dopoguerra” dichiara Danilo Barbi, Segretario Confederale della Cgil Emilia Romagna. Il risultato è che “ci stiamo allontanando da una situazione di semplice recessione, per entrare in condizioni di vera e propria depressione”. Gli italiani stanno attingendo ai risparmi per spendere quel poco che spendono. E in un Paese il cui Pil è costituito per l’80% dai ricavi generati dalla domanda interna, un calo così drammatico dei redditi non è certo di buon auspicio per la ripresa economica. Questa perdita non è di fatti imputabile all’inflazione, come poteva esserlo alla fine degli anni Settanta, e lo si evince dalla discesa parallela di reddito reale e nominale – quest’ultimo essendo la somma del primo e del tasso di inflazione registrato nel periodo di analisi. Sono in particolare colpite le famiglie monoreddito, gli stipendi pubblici e i salari che si sono molto disallineati negli ultimi anni rispetto ai prezzi, in continua crescita a causa della scarsità di materie prime energetiche, del monopolio petrolifero e del generale rallentamento degli scambi internazionali.

Nonostante tutto, il rapporto tra il deficit e il prodotto interno lordo è sceso al 2,8% nel secondo trimestre del 2012, rispetto al 3,2 dello stesso periodo del 2011. Numeri alla mano questo significa che la pressione fiscale ha fatto il suo dovere. Ma vuol dire pure che gli italiani si trovano schiacciati tra l’incudine e il martello, tra redditi che languono e imposte che lievitano. Ecco perché un intervento mirato, efficace e coordinato sta alla base di una strategia di crescita che l’Italia attende da tempo: da un lato misure che incentivano la produttività e l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro unite ad un alleggerimento della pressione fiscale per salari e pensioni, dall’altro interventi di facilitazione del credito a famiglie e imprese oltre alla possibilità di utilizzare in maniera rapida ed efficace i risparmi derivati dalla spending review e dalla lotta all’evasione fiscale.

L’Italia che vogliamo non è quella dello spreco. Non è nemmeno quella delle 47 mila persone a rischio dimora o quella dei nuovi poveri, uomini e donne di cinquant’anni, ex professionisti o artigiani, rimasti senza lavoro e senza chances. Un milione e 200mila solo nel 2102. E se la libertà economica è condizione per quella politica, come sosteneva Luigi Einaudi, in Italia ci stiamo allontanando da entrambe.

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