ILVA – Taranto, chiusura, riconversione, e modello Pittsburgh

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di Pietro Falco

L’Ilva di Taranto non è al collasso, è la città ad esserlo e con essa anche i cittadini ormai profondamente divisi tra chi vorrebbe che l’acciaieria continui a produrre e chi invece ne auspica la totale chiusura immaginando di poter respirare già meglio nell’arco di una nottata.

Tra i proclami fatti dagli ambientalisti nell’ultima campagna elettorale uno in particolare viene ripetuto in queste ore come un mantra: il famoso modello Pittsburgh, ma spesso si omette di spiegare ai cittadini cosa è effettivamente questo modello, come quella riconversione da “steel city” a città pulita sia avvenuta e soprattuto quale sia stata la sua collocazione storica.

Il modello Pittsburgh Proprio come Taranto la cittadina di Pittsburgh ospitava il più grande complesso siderurgico degli Stati Uniti ma dopo gli anni ’70 qualcosa cambiò e il processo di riconversione che dura ancora non è stato certo indolore.

A Pittsburgh l’industria chiuse non per la magistratura nè per fattori ambientali, l’acciaieria chiuse semplicemente perchè non reggeva il confronto con le produzioni oltre atlantico ed il prezzo pagato in termini di disoccupazione, spopolamento ed indebitamento dell’amministrazione comunale fu altissimo tant’è che la città è perennemente sul filo del rasoio della banca rotta.

Il paragone è impossibile anche se si tengono in conto altri fattori: nella periferica Taranto l’economia della cultura è scarsa o quasi inesistente, l’università è ad uso esclusivo dei cittadini, poco attrattiva per gli studenti delle zone limitrofe che preferiscono Bari e Lecce dotate di infrastrutture sicuramente migliori, il Museo, tornato ad essere fruibile dopo decenni, soffre ancora di alcuni problemi di spazio e non solo.

Infine sempre per quanto riguarda l’economia della cultura, Taranto deve prima fare i conti con la scarsa educazione civica dei suoi abitanti che, per fare un esempio, hanno ancora qualche difficoltà con le precedenze nelle rotatorie stradali.

Risulta poi un po’ difficile immaginare una svolta green in questo momento di crisi mondiale; a Pittsburgh il cambio di rotta avvenne in gran parte grazie agli investimenti dei privati e soprattutto in un periodo molto florido per l’economia: il dollaro negli anni ’60 e ’70 non aveva certo problemi di spread.

Il modello Ruhr. Tra le numerose città che si vorrebbe prendere a modello spuntano i nomi di Bilbao, in Spagna e quello del bacino della Ruhr in Germania.

Quello tedesco è forse il più grande progetto di riconversione a cui si assiste in questi anni: interessa una regione intera ed è, manco a dirlo, gestito con meticolosità teutonica. L’attenzione è chiaramente tutta concentrata sulla cultura e sullo sviluppo di una economia post-industriale, ma come può esser copiato questo modello in una città dove solo negli ultimi anni si è tornati ad avere un bilancio cittadino nella norma?

Nella Ruhr della Germania in salute, l’occupazione è comunque sotto la media nazionale e si sta lottando duramente per cambiare quel trend, Taranto e l’Italia non hanno gli stessi mezzi e chiudere l’industria dalla sera alla mattina con un sequestro senza una programmazione mirata e puntuale mette in ginocchio una provincia intera, l’effetto domino sarebbe catastrofico anche per le piccole salumerie di quartiere.

Non basta piazzare un museo e insignire la città del titolo di smart city per rinascere. A Taranto non c’è un aeroporto, i treni si contano sulla punta delle dita e l’autostrada è a chilometri di distanza dal centro cittadino. Come ci raggiungerà allora quel turismo che dovrebbe salvarci se anche gli alberghi storici del capoluogo chiudono i battenti?

La speranza di vedere quella terra risanata è l’ultima a morire ma bisogna ragionare collettivamente e senza isterismi altrimenti le fratture del tessuto sociale diventeranno sempre più profonde e difficili da rimarginare.

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4 thoughts on “ILVA – Taranto, chiusura, riconversione, e modello Pittsburgh

  1. Semplice: c’è un processo e colpe gravi (e incontestabili) della malafede di Riva e dei comportamenti illeciti. Condanna e risarcimento. Perchè non indagate sui patrimoni del gruppo Riva? Altro che bonifica di Taranto.. Sarebbe sufficiente per tutto il sud italia! E se arrivano i soldi, tutto si può fare caro autore dell’articolo.. Non sei molto informato su Pittsburg.. Anche lì c’era una famiglia magnate della siderurgia..Ebbene, è stata costretta ad investire i capitali accumulati in quella città. Mi spieghi perchè non dovrebbe farlo Riva a Taranto, dal momento che oltre ad averci guadagnato avrebbe compiuto atti illeciti??
    Forse non sai che l’università tarantina non è altro che una succursale di quella barese.. Forse non sai che gli alberghi chiudono proprio per colpa dell’inquinamento.. Forse non sai che la città è piena di movimenti a difesa della cultura e della storia millenaria della città.. Forse non sai che c’è un aereoporto, ma che è ostacolato da bari..
    Forse non sai proprio nulla!

    1. Conosco personalmente l’autore dell’articolo e penso che quello che scrive sia l’unica ottica adottabile in questo momento, non siamo pronti a sostituire l’ILVA, con un’altra fonte di reddito; vero è che immorale lavorare per morire e chi ha le colpe di questo disastro decennale deve pagare per i suoi sbagli.
      Sarebbe d’altronde troppo facile mio caro FRAXX risolvere così il problema, e secondo me l’unica soluzione sarà un grosso tavolo di dialogo che mi metta nella situazione di poter scegliere il nostro futuro, sperando che sia senza l’ILVA.

  2. Falco credo che la tua voglia di scrivere qualcosa a tutti i costi ti porta a dire cose che fanno accapponare la pelle… Io sono perfettamente daccordo con FRAXX, tu forse non sai proprio niente… Qui si tratta di costringere il signor Riva e lo stato a far risanare la situazione e pian piano a riqualificare completamente Taranto. La siderurgia a Taranto non deve essere più possibile semplicemente perchè se si applicano realmente le regole per non inquinare, gli impianti di filtraggio ecc, vedrai che produrre a Taranto acciaio non conviene più a nessuno. E quando un imprenditore non ha profitto, chiude. Quindi se a Taranto lo stato farà si che l’ILVA resti in piedi sarà solo per far si che il signor Riva continui a fare il suo guadagno, che il PIL non crolli, che lo stato non perdi questa grande fabbrica di denaro. Non se ne frega assolutamente niente dell’inquinamento, dei morti, che ogni giorno continuano ad avanzare, dell’aria irrespirabile, ecc… Costringere una bonifica, far pagare i danni anche al signor Riva, e utilizzare tutto quel personale attualmente occupato con l’ILVA per la riconversione, non crei assolutamente nessun dissesto economico, anzi cambierebbe la politica di favoritismo e clientilismo, l’aria diventerebbe respirabile, il turismo prenderebbe piede, la città vecchia inizierebbe a rifiorire e l’economia aumenterebbe non solo per RIVA e per 15000 persone, ma per tutta TARANTO e per tutta la provincia.
    Invece di restare a Bologna, e scrivere queste minchiate, potevi tornare a Taranto e impegnarti anche tu attivamente con i ragazzi dell’ISOLA CHE VOGLIAMO, stanno cercando in tutti i modi di riavviare la città vecchia e quest’anno rispetto all’anno scorso, ho visto nuovi alberghi, nuovi locali, nuova vita…
    L’ILVA è la MORTE, e la morte porta solo MORTE!!!

    Saluti da un Palagianese, che qualche settimana fa è dovuto scappare dalla città vecchia perchè i venti trascinavano tutto l’inquinamento verso Taranto. L’aria era irrespirabile, putrida, pungente, gli occhi lacrimavano e la gola bruciava… Ed ero solo sul lungo mare della tua amata città a fare una passeggiata…

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