LONDRA 2012 – I paesi della “primavera araba” alle Olimpiadi

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di Valentina Verdini

Come di tradizione, anche le Olimpiadi di Londra 2012 accolgono gli atleti provenienti da tutto il mondo. L’ambiente è multi-culturale, le crisi internazionali sono bandite dalla manifestazione sportiva. Almeno nelle intenzioni, questo è lo spirito dell’evento. Eppure quando a gareggiare vi sono atleti egiziani, yemeniti, tunisini, libici o siriani, il pensiero corre alla “primavera araba” e diventa complicato scindere il piano politico da quello sportivo.

In quelle bandiere simbolo dell’orgoglio nazionale, nei volti sorridenti di chi vive per la prima volta un’esperienza irripetibile, è difficile dimenticare l’anno appena trascorso, gli scontri in piazza Tahir, i manifestanti di Tunisi, la protesta yemenita contro il presidente Ali Saleh, l’uccisione di Muammar Gheddafi. Conflitti aperti e solo apparentemente conclusi,guerre civili di cui l’Onu prende atto ma nelle quali fatica ad intervenire.

Siria  – Nonostante le repressioni del regime di Bashar Assad, la Siria partececipa alle Olimpiadi con dieci atleti: 6 uomini e 4 donne. Tra questi nel salto ad ostacoli, Ahmed Hamsho figlio di Mohammed, deputato e uno degli uomini più potenti del regime siriano. La politica quindi entra prepotentemente nello sport, quando in un’intervista è lo stesso Hamsho ad ammettere di gareggiare alle Olimpiadi 2012 non soltanto per il proprio paese ma anche per Assad, esimendolo da ogni atto repressivo e nei confronti dei civili.

Egitto – Ai giochi olimpici di Londra, il paese guidato dal neo-presidente Mohamed Morsi, vanta un primato importante: sono ben 34 le atlete egiziane che rappresentano il paese, 13 le discipline nelle quali si cimenteranno. Cifre significative per il mondo arabo, dove anche un piccolo passo può rappresentare un segnale importante per l’emancipazione e per il riconoscimento di diritti delle donne.

Tunisia – Lo stato del Maghreb ha una lunga tradizione nella box, nella corsa e recentemente anche nel nuoto. La Tunisia uscita da poco dal regime di Ben Alì, mostra ancora le ferite di anni di dittatura. In questo anche gli atleti ne sono una testimonianza. Come Wajdi Bouallegue, ginnasta convinto di non poter più partecipare ad un’olimpiade dopo la squalifica del 2009 avvenuta per aver strappato un’immagine del dittatore Ben Alì.

Libia – Sono decisi a vincere gli atleti libici. Con un nuovo inno nazionale e la bandiera dell’indipendenza, il paese dell’ex dittatore Gheddafi si appresta a disputare i giochi olimpici. Si punta sul quattrocentista Mohamed Ashour Khawaja che vinse a Nairobi i campionati africani d’atletica. Per molti atleti le Olimpiadi sono anche un modo per riscattarsi dal regime, dalle difficoltà incontrate nell’allenarsi in un paese distrutto dalla guerra civile.Evidentemente il confine tra politica e sport non è poi così netto.

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