Fiammetta e Manfredi Borsellino. La rivoluzione della normalità e la verità che non c’è

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di Vincenzo Arena

Ieri, 19 luglio. Vent’anni senza Paolo Borsellino. I miei primi 30 anni con Paolo Borsellino. Sono cresciuto in una famiglia del sud. Mio padre e mia madre esempi di dignità e onestà. Una sorella più piccola, dolce e tenace. Una famiglia meridionale come tante, gente normale che vive facendo il proprio dovere, ogni giorno. Oggi 20 luglio – passata la retorica delle celebrazioni, spente le ipocrsie degli ignavi, dei conniventi, dei collusi, dei mafiosi… tutti vestiti da cittadini irreprensibili e da antimafiosi (ma solo due, tre vote l’anno) – voglio dar voce ad una famiglia normale, voglio ricordare l’uomo Paolo Borsellino, il giudice che non voleva essere eroe e che della normalità fece una rivoluzione. In un paese in cui la normalità del fare il proprio dovere è una stranezza, uno strano gesto di ribellione. Voglio ricordare la drammatica normalità di Lucia Borsellino che ricompone il corpo dilaniato dal tritolo del padre fatto saltare in aria in via D’Amelio. Voglio far parlare Fiammetta e Manfredi Borsellino, stralciando alcuni passi di due loro interventi diffusi dai giornali più o meno di recente. Borsellino, un nome che pesa ma mai fatto pesare; ricordi intimi manifestati con pudore; un dialogo fra padre e figli nel segno di una corrispondenza quanto mai cercata di “amorosi sensi”.

UN RICORDO INTIMO… SEMPRE QUALCHE PASSO INDIETRO

Fiammetta: “E’ la prima volta, dopo tanti anni, che parlo in pubblico di mio padre, del nostro rapporto, oppure, più semplicemente, della mia scelta, fatta propria da tutta la mia famiglia, di fare qualche passo indietro rispetto ai tanti, troppi, che, senza averne titolo, hanno ritenuto opportuno appropriarsi di quegli spazi che noi familiari desideravamo non venissero occupati da nessuno.”

Manfredi: “Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza ‘farci largo’ con il nostro cognome, divenuto ‘pesante’ in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo ‘montati la testa’, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.”

I “SOMMERSI” E I “SALVATI”… DAL COMPROMESSO MORALE

Fiammetta: “Amo ricordare di mio padre quella sua incredibile capacità di non prendersi mai sul serio ma al tempo stesso di prendersi gioco di taluni suoi interlocutori; queste qualità caratteriali l’hanno aiutato in vita ad affrontare di petto qualsiasi cosa minasse il suo ideale di società pulita e trasparente e ne sono sicura lo avrebbero accompagnato ancora in questo particolare periodo storico, in cui l’illegalità e la corruzione continuano ad essere fenomeni dilaganti nel nostro paese. Ancora oggi ringrazio mio padre per avermi fatto capire il reale significato della parola ‘vivere’ e del ‘combattere per i propri ideali’ per il raggiungimento dei quali, come disse più di una volta ‘è bello morire’.”

Manfredi: “Ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.”

QUEL CHE SONO OGGI

Fiammetta: “Oggi ho trentanni, nel mio piccolo cerco di applicare ogni giorno al mio lavoro gli insegnamenti che mio padre mi ha trasmesso della sua stessa vita, cioè quell’intransigenza morale che, spiace rilevarlo, nella società palermitana nella quale opero e vivo appare davvero eccessiva, fuori dai tempi , anacronistica. Perdiamo il diritto dovere di educare alla legalità se non siamo i primi a dare l’esempio, anche dare l’esempio ci può costare l’isolamento.”

Manfredi: “Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere. D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe ‘cavalcato’ l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di o perché di cognome fa Borsellino.”

Quell’estate del 1992 oggi compie vent’anni. Venti estati senza verità sulle stragi di Stato, perchè ormai bisogna riconoscerlo senza mezzi termini: fu lo Stato, una parte di esso, una parte dell’allora classe dirigente, una parte anche dell’attuale classe dirigente a trattare con la mafia dei Riina, dei Provenzano, dei Cincimino, dei partiti morenti e dei partiti nascenti. Per far cessare l’escalation di violenza? O piuttosto per insabbiare nomi e cognomi di importanti regie politico-istituzionali? Domande le cui risposte sono ancora lontane da venire. Ma questo Paese disgraziato dovrà prima poi fare i conti con il proprio passato più oscuro. Quei nomi che molti di noi immaginano, quei nomi che circolano a mezza voce dovranno essere pronunciati prima o poi.

E dopo la generazione dei lenzuoli, a prentendere risposte è la generazione delle agende rosse, poi busserà alle porte la generazione di Paolo Borsellino, classe 2007, figlio di Manfredi. Il nonno non lo conoscerà mai. Un giorno anche lui si chiederà perchè tutto questo è Stato. Perchè la mafia, le mafie permeano ancora così nel profondo lo Stivale, i suoi partiti, la sua classe dirigente. Questo Paese avrà queste risposte? Questo Paese vuole queste risposte? Certo è che Paolo Borsellino classe 1940 e Paolo Borsellino classe 2007 le pretendono.

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