Telejato e i «giornalisti vip»: passione e impegno civile

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di Chiara Baldi

I riflettori su Telejato per fortuna non si spengono e giovedì scorso, a RomaTre, Pino Maniàci ha raccontato l’esperienza della sua tv, che da giugno, con il passaggio al digitale terrestre, rischia di chiudere. Telejato è un’emittente piccolissima (solo 5 persone: lui, sua moglie e i tre figli) che si occupa di mafia e che, nonostante le dimensioni, copre un’area di 25 comuni siculi trasmettendo un telegiornale di due ore (dalle 14.30 alle 16.30) il cui audience sfonda i 180mila ascoltatori. Uno share altissimo.

Il Beauty Contest («il concorso di bellezza», ironizza Maniàci), l’asta con cui verranno assegnate le frequenze tv, sarà una prova difficile da superare per Telejato, perché, come spiega il direttore, «i canali dal 61 al 69 (Telejato è il canale 62, ndr) sono stati venduti ad una compagnia telefonica per 4miliardi e 300mila euro: praticamente un’asta gratis!» e questo vorrà dire che le tv comunitarie (come Telejato, appunto) non vi potranno partecipare poiché non avranno i requisiti necessari (che sono, ad esempio, il capitale sociale – per Telejato pari a zero euro). È per questo che è nato il comitato “Siamo tutti Telejato” che ha chiesto al Governo di emendare il Beauty Contest affinché il 30% delle frequenze tv del digitale terrestre vada alle tv comunitarie.

Il lavoro che si fa a Telejato è un «lavoro normale: non facciamo nulla di particolare», assicura Maniàci, e prosegue: «sono venute tv da tutto il mondo a filmare la normalità. Si perché quello che facciamo noi è quello che dovrebbero fare tutti, e cioè è la normalità. È questo che mi fa incazzare: il fatto che ci si soprenda della normalità». Ma, come dice il giornalista, «in Italia la normalità è diventata anormalità». Per più di due ore Maniàci è stato un fiume in piena, catalizzando l’attenzione degli studenti presenti, raccontando aneddoti della propria vita professionale e mostrando anche un paio di video realizzati dalla figlia Letizia (che ha vinto il Premio Maria Grazia Cutuli, come “inviata di guerra in Sicilia”) e dal figlio, che si è infiltrato al matrimonio del figlio di Totò Riina.

Molto interessante è stato poi scoprire l’idea di giornalismo di Maniàci: un giornalismo sul territorio che combatte con le unghie e con i denti contro un sistema malato («loro si sentono uomini d’onore e per noi disonorarli è questione d’onore: li chiamiamo Pezzi Di Merda», dice il direttore) ma che al contempo pensa di poterlo fare solo attraverso la passione. Come lo stesso Maniàci ha ricordato, infatti, sia lui che i suoi collaboratori (tra cui, spesso, molti stagisti) lavorano gratis: «l’Antimafia a pagamento è un’altra cosa. I vip del giornalismo (Saviano e Santoro, per esempio), non si spendono per il sociale perché lo fanno con contratti milionari e non gratuitamente come lo facciamo noi». Ma tra il giornalismo milionario di Saviano e quello gratuito di Maniàci ce n’è un terzo tipo: quello precario degli oltre ventimila giornalisti che lavorano quotidianamente per qualche euro al pezzo, costantemente sotto ricatto professionale e in balìa di un un editore che sfrutta proprio la loro passione.

Galleria forografica a cura di Chiara Baldi.

Immagine di copertina:

http://www.giornalisticalabria.it/wp-content/uploads/2012/01/Pino-Maniaci.jpg

Per saperne di più sulla vicenda di Telejato:

https://www.mediapolitika.com/?p=1547

https://www.mediapolitika.com/?p=3204

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