Siria, 7500 le vittime della repressione del presidente Assad

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di Valentina Verdini

Sono 7500 le vittime delle repressioni del regime siriano di Bashir al-Assad. Di questi 400 sono minori, i soggetti più deboli che difficilmente scampano ad arresti arbitrari, torture, maltrattamenti di ogni genere che spesso arrivano anche alla morte durante la detenzione. A denunciare la strage silenziosa di bambini e ragazzi è Rima Salah, vicedirettore di Unicef, attraverso il rapporto Humanitarion Action for Children 2012 dedicato all’intervento del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia nelle emergenze.

Stessa situazione è emersa da un altro documento pubblicato a fine novembre dalle Nazioni Unite dove colpisce la violenza con la quale i militari di Assad reprimono la popolazione.

L’INIZIO DELLA GUERRA CIVILE- Le prime proteste si svolgono nel febbraio dello scorso anno: la popolazione è stanca della povertà, della corruzione, della violazione dei diritti civili e della detenzione dei prigionieri politici. Queste le accuse rivolte al governo di Assad. A metà marzo nella città di Dar’a hanno luogo altre manifestazioni pacifiche contro la detenzione e le torture subite da un gruppo di bambini accusati di aver dipinto graffiti anti-governo su edifici pubblici. Dopo le repressioni condotte dai militari, focolai di protesta si sviluppano a Al Ladhiqiyah, Baniyas, Damasco, Dayr Az Zawr, Homs, Hama e Idlib. A novembre l’OHCHR (Office of the High Commissioner for Human Rights) dà una stima dei civili uccisi dalle forze di stato: sono 3500. Le città più colpite sono Homs, Hama e Dar’a.

LE VIOLENZE DEI MILITARI DI ASSAD- Bashir al-Assad attuale presidente della Siria succede al padre Hafiz al-Assad dopo la sua morte avvenuta nel 2000. Entrambi appartenenti alla corrente minoritaria alauita e personaggi ritenuti ambigui dall’occidente specialmente da Stati Uniti ed Israele, godono invece di una potente macchina militare. Forze di sicurezza e milizie denominate Shabbiha evitano che le proteste dei cittadini possano intaccare il potere di Assad consolidatosi ormai in regime. L’esercito ha l’ordine di sparare ai manifestanti pacifici senza alcuna protezione nelle parti alte del corpo tra cui la testa. Sono rivoltosi, terroristi che minano le basi della “democrazia” siriana: per questo devono essere ammazzati. Uccisi anche quando civili tra cui donne e bambini sono in viaggio verso Dar’a per portare cibo, acqua e medicine alla popolazione della città (episodio risalente al 29 aprile 2011).

HOMS, SIMBOLO DELLA REPRESSIONE- Nella città di Homs, la popolazione teme di essere condotta all’ospedale militare: è qui che forze di sicurezza travestite da dottori torturano ed uccidono i civili sospettati di essere terroristi o rivoltosi. Hanno paura degli ospedali pubblici, per questo utilizzano cliniche di fortuna accampate in moschee e case private. Homs è divenuta il simbolo della repressione dell’esercito di Assad: la città è stata distrutta da bombardamenti continui dell’aviazione siriana. Se non perdi la vita per un razzo lanciato sulla tua casa, morirai di fame o di sete perché in città non arrivano gli approvvigionamenti.

Le organizzazioni umanitarie non riescono ad operare nel paese mentre sono ancora presenti un piccolo gruppo di giornalisti internazionali. Collaborano con i blogger e i cronisti locali per raccontare al mondo cosa succede nel paese martoriato dalla guerra. Stesso mestiere, stessi pericoli, stesso destino: il 22 febbraio muore il video blogger Rami al-Sayed durante un bombardamento nel quartiere di Baba Amr (Homs). Nell’ attacco perdono la vita anche altri due giornalisti occidentali: Marie Colvin americana che lavora per il Sunday Times e il francese Rèmi Ochlik.

Il regime non risparmia nessuno: donne, vecchi, bambini, cronisti, civili. E in tutto questo orrore la comunità internazione dov’è?

fonte foto: http://www.flickr.comphotosgnuckx3298626947/

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