Daspo a Genny ‘a carogna. Chi ha vinto e chi ha perso?

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gennydi Fabio Grandinetti

Si fosse chiamato Luigi Cortese e, anziché la maglia su Antonino Speziale, avesse esposto uno striscione “Riina libero” davanti al Quirinale, se la sarebbe cavata con gli sguardi stupiti dei passanti, qualche risa di scherno e un delicato spintone da due agenti di polizia. Invece Genny ‘a Carogna, con quel suo bel soprannome da prima pagina, è stato usato e risputato in pasto all’opinione pubblica per spezzare le presunte manette degli ultrà dai polsi dello Stato.

A poche ore dall’inizio della finale di Tim cup tale Daniele De Santis, un neofascista ex ultrà della Roma, accompagnato da quattro persone con casco integrale, aggredisce alcuni tifosi del Napoli con bombe carta e, a quanto pare, esplode quattro colpi di pistola riducendo in fin di vita Ciro Esposito. Per circa quarantacinque minuti lo stadio Olimpico gremito per il match Napoli-Fiorentina è completamente disorientato. I megaschermi e lo speaker restano in silenzio e in tribuna stampa non arriva nessuna notizia sulle condizioni del tifoso e sulla dinamiche degli incidenti. Alla destra dei giornalisti c’è una curva intera di napoletani, facili prede della diffusione di voci potenzialmente esplosive. Chi è chiamato a gestire l’ordine pubblico decide di rivolgersi a loro. Trattativa o meno, non è questo il punto. Il punto è che il tifo organizzato esiste, e non c’è nulla di cui meravigliarsi. Esistono anche personaggi che, brutti o belli, intelligenti o no, camorristi o meno, hanno influenza nell’ambiente ultrà. Risultato del confronto: partita svolta, deflusso dall’impianto senza incidenti.

Il giorno dopo su giornali e tg è gara a chi mette la foto più brutta del capo ultrà, a chi la spara più grossa sulle armi da utilizzare contro i violenti, a chi si indigna di più per la trattativa con i tifosi e per il calcio ostaggio degli ultras. Mentre al Gemelli Ciro Esposito è in rianimazione.

Con il daspo di 5 anni a Gennaro De Tommaso per esposizione di «striscioni o cartelli incitanti la violenza o recanti ingiurie o minacce» e lo «scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive», a perdere non è tanto il movimento ultrà, quanto piuttosto le istituzioni che ci rappresentano. Perché il provvedimento sa tanto di vendetta, un boccone offerto alla pancia dell’opinione pubblica più affamata di perbenismo. De Tommaso ha scavalcato le transenne per parlare con gli agenti ed è stato punito per questo. Un po’ come se la polizia municipale vi invitasse ad entrare in una ztl e vi multasse il giorno dopo. A De Tommaso sarà negato l’accesso agli impianti sportivi per i prossimi cinque anni (per un ultrà una limitazione della libertà di non poco conto) non per una maglietta, ma perché con quel nome e quei tatuaggi è il capro espiatorio perfetto da utilizzare per difendersi dal processo mediatico cui è stato sottoposto lo Stato.

Nel nostro Paese esistono luoghi dove lo Stato non arriva o, se arriva, ha il volto della coercizione, della privazione, degli sgomberi, degli arresti. Nelle curve, nelle piazze, nei centri sociali, una parte della popolazione italiana, per lo più giovane, vede lo Stato, a torto o a ragione, come un nemico da combattere. Sono queste scelte, queste incongruenze, questi atteggiamenti intrapresi dallo Stato che lo rendono ai loro occhi inaffidabile e vendicativo. E proprio chi ha assimilato il senso dello Stato nella sua più alta e nobile accezione, chi ha a cuore il rispetto delle regole e la convivenza civile dovrebbe sforzarsi di ricomporre questa frattura fin troppo sottovalutata, o peggio strumentalizzata.

Siamo sicuri che un giudizio sul nostro Paese debba essere espresso sulla scorta di quanto fatto dagli ultrà? Lo scorso 30 marzo nella civilissima Svezia un uomo è morto durante gli scontri tra opposte tifoserie e, udite udite, al 41’ del primo tempo i tifosi sono entrati in campo costringendo l’arbitro a interrompere la partita. Ma si sa, certe cose succedono solo in Italia. Meglio celebrare talk show sugli hooligans inglesi e conferenze stampa di ministri dal pugno di ferro.

Davvero vogliamo credere che l’Italia ha fatto una figura meschina in giro per il mondo per colpa di Genny ‘a carogna? Davvero vogliamo farlo dopo che nel giro di poche settimane un agente di polizia ha vigliaccamente calpestato una ragazza distesa durante una manifestazione, o dopo che membri del nostro sindacato di polizia hanno applaudito per cinque minuti i colleghi condannati per l’omicidio Aldrovandi? Esigere scelte e comportamenti impeccabili da parte di chi rappresenta lo Stato è il modo migliore per giustificarne l’esistenza, esaltarne il valore, rinsaldarne la legittimità.

Foto di calciostreaming – Alcuni diritti riservati 

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2 thoughts on “Daspo a Genny ‘a carogna. Chi ha vinto e chi ha perso?

  1. Il Calcio, un mondo nel pallone

    Il calcio è lo sport più bello del mondo,
    scuola di vita per grandi e piccini.
    Porta allo stadio tua moglie e i bambini,
    vai con la ola e scatena il girotondo!

    Cantano in coro belanti agnellini,
    cantan l’amore con tono giocondo.
    Mai un versetto solo un poco iracondo,
    tessono lodi l’un l’altro i caini.

    Sia fuori che dentro è solo un tripudio
    di buone vibrazioni e lattemiele
    e tutto fila liscio, senza intralcio.

    Ecco perché dopo questo preludio
    urlo, fottendomi delle cautele:
    AMBIENTE DI MERDA, DIAMOGLI UN CALCIO!

  2. Un simpatico Carogna

    Io dico: ma ‘sto Genny, ‘sto Carogna,
    ‘sto grande uomo delle mediazioni,
    ‘sto puro concentrato di coglioni,
    perché lasciar che sguazzi nella fogna?

    Perché non farlo leader dei Forconi
    oppure travestito da cicogna
    mandarlo a fomentare la rampogna
    lassù con i Salvini e coi Maroni?

    Ma pure in seno a Grillo ce lo vedo:
    garbato, con il look da chierichetto
    e il fare di chi parla in un bisbiglio.

    Del dialogo som certo è un vero aedo
    e quindi non lasciamolo nel ghetto:
    strappiamo alla Camorra questo giglio!

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