Riforme e macroregioni. Ecco come si ridisegna la nuova carta geo-politica italiana

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di Lucia Varasano

italiapoliticaIl 2014 sarà un anno importante per ridisegnare la nuova carta geopolitica dell’Italia.   Le avvisaglie sono nell’aria già da tempo ma la corsa alla nuova “carta” sembra aver         ricevuto un’ impennata nelle ultime decadi di marzo. Oggi la riforma del titolo V è al vaglio, solo qualche giorno fa il disegno di legge Delrio sulle province ha ricevuto la         fiducia del Senato e il concetto di “macroregione” è stato rispolverato. L’Italia sta cambiando l’architettura interna del suo territorio, vediamo come.

CITTA’ METROPOLITANE, PROVINCE, FUSIONI DI COMUNI. In sintesi   potremmo dire che la provincia è ormai un ente in via di smantellamento, il disegno di legge ne prevede la soppressione, il percorso prescelto mira ad un confuso riordino con tanto di dubbi sull’effettivo risparmio. Quello delle province non sarebbe un  grande taglio. Secondo un dossier dell’UPI (Unione delle Province italiane) infatti il  costo per il loro mantenimento rappresenta appena l’ 1,27% della spesa pubblica, e non  è tutto. Anche la Corte dei Conti ha espresso il suo parere negativo e sottolineiamo   questo passaggio: “i risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi”. Se è vero insomma che 3mila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani è vero anche che il caos amministrativo in materia di competenze dei vari enti non ancora del tutto chiare (Città metropolitane, province come enti di area vasta, fusione di comuni) peserebbe ancor di più sul bilancio dello Stato.

Restano aperte tante domande, ad esempio “cosa succede quando un territorio della provincia non coincide con quello della città metropolitana?” per ora l’unica risposta sembra averla data proprio la Corte dei Conti: non verrebbe garantito il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. L’istituzione di ulteriori città metropolitane poi, potrebbe comportare una “ipertrofia organizzativa” non sarebbero insomma aree così produttive e addirittura non in grado di assorbire più azioni strategiche.

Oltre alla discussione sul “riordino” una parola campeggia tra le pagine dei giornali ed è “macroregione”. Cancellate per un attimo i confini delle regioni e immaginate lo stivale diviso in tre aree: nord, centro, sud e isole, oppure scomponete ulteriormente queste in 12 piccole aree di sviluppo come ipotizzate nello studio della Fondazione Agnelli, oggi ripescato.

Quando a proporre le macroregioni furono i soli leghisti la stampa di una certa parte gridò al suicidio dell’unità italiana, quando a rispolverarla è stato Grillo si è urlato all’intesa con i padani, fino a quando Renzi poi, non lo ha riproposto sotto la spinta del governatore campano. Allora sì che si è parlato di slancio verso l’Europa. Di “creazione della macroregione europea” (Eusair) intesa, non come modello amministrativo ma, come una modalità di cooperazione interregionale e transnazionale se ne parla da tempo e le riforme renziane sembra stiano solo preparando il terreno. Si avvicina infatti il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione e, se vogliamo, il progetto delle macroregioni potrebbe muoversi nella strategia più ampia per il rilancio del Mediterraneo avanzata dall’ex premier Romano Prodi (oggi anche il più “papabile” alla presidenza).

Tranquillizziamoci e diciamo che a Renzi non interessano le macroregioni così come pensate dai leghisti. Sa’ bene che richiedono un serio approfondimento, uno studio a più livelli (più attuale del plurinominato studio della Fondazione Agnelli), una discussione serena piuttosto che un proclama che sembra studiato per la corsa alle elezioni europee. D’altronde se la volontà di Renzi fosse stata quella di “accorpare” le regioni sarebbe inutile riformare oggi il titolo V e rimaneggiarlo già domani, anche se il nuovo scheletro politico-amministrativo sembra stia cambiando in funzione più marcatamente europeista.

Bisogna poi considerare che la tabella di marcia del governo renziano è serrata: una riforma al mese, quindi va da sé che non c’è tempo ora per pensare alle macroregioni. L’Italia rischierebbe di fare un passo più lungo della gamba. Se ben guardiamo infatti Renzi ha delegato il tutto agli enti interessati: “è necessario che il sud trovi l’accordo” e alcuni governatori hanno già dato il loro “ok” senza interpellare gli elettori. Le regioni del mezzogiorno poi sono ancora ingabbiate nella logica assistenzialista che le ha già portate al confino politico, regioni in crisi e relegate a sé stesse che non riescono a risolvere neanche i problemi entro i loro confini, figuriamoci ampliare il loro orizzonte. Non è pessimismo. Prima di parlare di “macro” sarebbe necessario avviare una vera cooperazione a livello “micro” tra le regioni che faticano già da sole a stare in piedi. Un cambiamento così repentino non sarebbe auspicabile e necessita di basi solide piuttosto che un terreno già franoso.

Più interessante dunque per il sud del Paese è la macroregione pensata nel disegno del nuovo modello economico europeo e se l’obiettivo è questo, ben venga. La strategia del mediterraneo però si muove a piccoli passi, ma è l’unica direzione che consentirebbe al mezzogiorno di accogliere una sfida globale pensando localmente, altrimenti verrebbe tagliato fuori dalla competizione territoriale.

I governatori lo sanno, il sud non andrebbe da nessuna parte. Non passate nessuna palla dunque, o Renzi schiaccia!

 

foto da Comuni-italia

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One thought on “Riforme e macroregioni. Ecco come si ridisegna la nuova carta geo-politica italiana

  1. in realtà le macroregioni sembrano attualmente un esercizio letterario. L’Italia ha una storia di province, non di regioni. Finora le regioni non sono state concepite per amministrare, governare, indirizzare ; le nuove entità immaginate devono rispettare storia, cultura economia e non devono essere imposte dall’alto come vorrebbero Morassut e Ranucci, sconosciuti a tutti. Stalin è morto! decidono i popoli. I referendum sono, nelle zone di confine tra aree, l’unico strumento per non produrre lacerazioni e tensioni. Caso tipico sono le regioni Umbria e Marche. Chi può permettersi di disegnarne il destino senza sentire le popolazioni? Improvvisatori e principianti. Per le Marche, la mia regione, o si va con l’attuale Emilia Romagna o con Umbria e Toscana. Altre soluzioni verrebbero ritenute staliniane. Si vada a referendum!I popoli decidono sulla loro sorte.

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