Roma, processo omicidio Dino Budroni. La sorella: “Vogliamo la verità, non ipotesi”

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di Valentina Verdini

Si è tenuta venerdì 21 marzo presso il tribunale di Roma la seconda udienza che vede imputato Michele Paone per omicidio colposo ai danni di Bernardino Budroni, il muratore romano ucciso sul Grande Raccordo Anulare l’alba del 30 luglio 2011. A sparare è l’agente scelto Michele Paone che dopo aver cominciato l’inseguimento della Ford Focus guidata da Dino in zona Tuscolana, esplode due colpi all’altezza dell’uscita Nomentana. Il primo colpisce l’auto nella parte posteriore vicino il parafango, mentre l’altro raggiunge Budroni alla schiena, una decina di centimetri sotto la scapola sinistra, provocandone la morte prima dell’arrivo all’ospedale Pertini.

Quella notte Dino viene segnalato al 113 per minacce e danneggiamenti presso l’abitazione della sua fidanzata nei pressi di Cinecittà la quale richiede l’intervento delle forze dell’ordine. Da lì comincia l’inseguimento della volante Dieci con a bordo l’agente Paone, alla quale si aggiungono altri veicoli, tra i quali la pattuglia 454 dei carabinieri con il brigadiere Pomes le cui registrazioni telefoniche con la centrale operativa riservano particolari importanti.

Nella ricostruzione di quanto accaduto quel giorno, sono tante le incongruenze  emerse nel corso dell’udienza, la quale ha visto in esame le varie testimonianze. Stando a quanto dichiarato dalle forze dell’ordine, la Focus di Budroni percorre il GRA ad altissima velocità, sfiorando addirittura i 200 km/h e cercando varie volte di speronare le loro automobili. Tuttavia l’abitacolo dei carabinieri non registra alcun danno, mentre quello della polizia rileva un danno da contatto sfuggente con la Ford Focus, ossia quando i veicoli sono in posizioni parallele. Inoltre la macchina di Budroni presenta un unico urto da speronamento sulla parte posteriore destra che lo porta ad adagiarsi contro il guardrail.

Ciò che desta maggior dubbio è la sequenza con la quale i colpi di pistola vengono esplosi e soprattutto se l’auto di Dino fosse in movimento o ferma. Secondo le perizie del RIS, il maggiore Frattini ritiene che gli spari siano avvenuti in movimento, ossia quando entrambe le macchine, la Focus e la volante 10 percorrono il GRA ad una velocità compresa tra i 50 e gli 80 km/h. Secondo i calcoli del maggiore, il primo sparo che colpisce all’altezza del parafango sinistro della macchina è esploso ad una distanza di 4-5 metri, mentre il secondo che ferisce a morte Budroni avviene a circa 9 secondi dal primo e con una distanza tra i 2,4 e i 4,6 metri. Eppure il ritrovamento dei bossoli di fronte l’automobile non giustifica secondo il perito della famiglia di Budroni la sequenza dello sparo, in quanto tale posizione può essere spiegata solo da una macchina che procede ad una velocità inferiore ai 30 km/h. In secondo luogo, l’ipotesi sostenuta dai RIS si basa sull’assunzione che la mano del poliziotto sia rimasta nella stessa posizione, condizione inverosimile per il perito dell’accusa guidata dall’avvocato Fabio Anselmo.

Vi è poi la registrazione telefonica tra il brigadiere Pomes e la centrale operativa che rende l’accaduto ancora meno chiaro. Pomes racconta che la Focus cerca di speronare la volante 454 ma che i carabinieri riescono a posizionarsi davanti e a far sbattere l’auto di Budroni contro il guardrail all’altezza dell’uscita per Mentana. Nel momento in cui entrambi si stanno fermando, Pomes racconta di aver sentito due colpi, <<tanto che avevamo pensato che avessero sparato in aria>> e di aver guardato Budroni, dato che gli era quasi affianco, il quale dopo aver alzato le mani in segno di resa si accascia subito dopo. Secondo le perizie poi, il corpo di Dino al momento del colpo mortale presenta il busto reclinato e ruotato verso destra, che dalla difesa viene spiegato come la posizione di chi sterza il volante verso destra come a voler cambiare direzione, mentre per la famiglia è il gesto di chi prova a proteggersi.

La sorella di Dino, Claudia Budroni sottolinea anche altri elementi: “La macchina di mio fratello aveva la marcia inserita ed il freno a mano tirato. Non bisogna essere periti per notare che i fori della macchina sono talmente diretti che se fossero sparati con macchine in movimento non sarebbe stati così dritti. Anche oggi i RIS hanno confermato che sostanzialmente la parte finale è basata su ipotesi, ma qui non si può parlare di ipotesi perché mio fratello è morto”.

A due mesi dalla prossima udienza, l’avvocato Fabio Anselmo, già legale della famiglia Cucchi e Aldrovandi, sembra deciso a voler dimostrare che al momento dei colpi di pistola la Focus di Budroni era ferma. Dalla sua parte vi è la tenacia di Claudia: “Mi aspetto che la verità su quanto successo a mio fratello venga fuori perché oggi l’udienza si è basata molto su delle ipotesi e omissioni. Questa storia deve emergere con più chiarimenti. Voglio la verità”.

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