Astensionismo a Cinque Stelle, online vota solo la metà degli aventi diritto

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di Fabio Grandinetti

Se si trattasse di elezioni o votazioni normali si direbbe che ha vinto l’astensionismo. Non Grillo e Casaleggio, non il MoVimento, non la Rete. A distanza di pochi giorni gli aventi diritto della Rete a 5 stelle sono stati chiamati al voto in due occasioni. Nel primo caso si è deciso di mandare il leader tarantolato alle consultazioni per la formazione del governo, nel secondo di espellere i 4 senatori dissidenti. Dei circa 85000 iscritti hanno votato rispettivamente 41240 e 43368 persone. L’astensionismo pentastellato si aggira dunque attorno al 50%, un numero che doppia abbondantemente il pur allarmante dato delle ultime politiche.

L’esercito grillino, non proprio un’armata invincibile da un punto di vista numerico, non pare nemmeno composto da soldati valorosi. Non certo i cittadini impegnati e informati che fanno della partecipazione la propria ragione di attivismo politico, ovvero l’immagine che lo zoccolo duro votante del movimento dà di se stesso. E con l’aumentare della rilevanza politica e sociale dei temi il dato tende addirittura a peggiorare. Per la scelta tra proporzionale e maggioritario il 60% degli aventi diritto ha rinunciato al voto telematico, mentre per la votazione sull’abrogazione del reato di clandestinità l’astensionismo sale al 69%.

Non vince la partecipazione, tantomeno la democrazia e il rispetto della volontà popolare. L’interpretazione data da Grillo al parere dei 20843 attivisti che hanno deciso di contravvenire al volere dei guru votando per l’incontro con Renzi è stata inaccettabile. Si presume che almeno una parte di loro abbia votato auspicando un colloquio tra persone normali, quantomeno non affette da un raptus sbraitante, volere puntualmente disatteso. Uno vale uno, ma 20843 vale zero.

Democrazia diretta, trasparenza, coerenza e rispetto delle regole. Se le parole d’ordine sono queste è bene partire dalle buone prassi in casa propria. Nel codice di comportamento degli eletti del M5S in Parlamento, al punto “espulsione dal gruppo parlamentare”, è previsto che i «parlamentari del M5S riuniti potranno per palesi violazioni del Codice di Comportamento proporre l’espulsione di un parlamentare del M5S a maggioranza». Di palesi violazioni del codice da una paginetta nemmeno l’ombra. La motivazione “ufficiale” della chiamata alle urne data da Grillo è ben diversa: «Dopo svariate segnalazioni dal territorio di ragazzi, di attivisti, che ci dicevano che i 4 senatori Battista, Bocchino, Campanella e Orellana si vedevano poco e male, i parlamentari del M5S hanno fatto un’assemblea congiunta decidendo l’espulsione dei suddetti senatori. A me dispiace, perché in fondo non c’è niente di drammatico, però non sono più in sintonia con il MoVimento […] Si terranno tutto lo stipendio, 20000 euro al mese fanno comodo, capisco anche quello. Non capisco le motivazioni ideologiche: “Grillo non si fa mai vedere, Grillo dall’alto, il blog di Casaleggio”. Queste sono cazzate, non sono motivazioni ideologiche». La prima notizia è che Grillo desideri “motivazioni ideologiche”. La seconda è che a determinare la procedura di espulsione di massa non ci sono violazioni ma delle vaghe quanto non comprovabili segnalazioni su parlamentari che “si vedevano poco e male”. L’ultima notizia la diamo noi a Beppe. Come Mediapolitika ha accertato nelle scorse settimane, sono tanti i parlamentari grillini che superano gli 8000 euro mensili tra indennità, diaria e fantasiose spese accessorie. I soldi non fanno comodo solo ai dissidenti.

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