Per non dimenticare. La storia di Nunzio, ucciso per errore nel Vallo del Lauro

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Si sta
come d’autunno
sugli alberi
le foglie.

Soldati, G. Ungaretti

 di Marta Silvestre

Ci sono luoghi che, disgraziatamente, sono stati snaturati da una intollerabile concentrazione di violenza e appaiono, nell’immaginario comune, come il simbolo di un contenitore per azioni criminose.

Sintomatica è la zona del Vallo del Lauro, al confine fra l’Irpina e il Napoletano, lembo di terra impraticabile poiché dilaniato dai clan che facevano contare la media di un omicidio al mese, ma che si limitavano ad ammazzarsi fra di loro.

O almeno così era stato fino al 30 ottobre del 1991, quando a rimetterci la vita fu una persona assolutamente innocente e totalmente estranea a quelle dinamiche di faida troppo simile a una guerra.

Era Nunziante Scibelli, un ragazzo di 26 anni.

Erano circa le ore 20.00 e Nunzio era in macchina con la moglie Francesca a due chilometri da Quindici (primo comune d’Italia a essere stato sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata nel 1983). Improvvisamente l’auto viene trafitta da centinaia di proiettili. I killer aspettavano due pregiudicati legati a un clan, che viaggiavano in una automobile molto simile (ma non uguale!), per  modello e colore, a quella di Nunzio e che egli aveva sorpassato proprio poco prima, poiché guidava con una certa fretta.

Lui e Francesca erano andati via un po’ prima dalla festa di laurea di un cugino per riuscire a fare in tempo ad andare a trovare il padre di Nunzio che era ricoverato all’ospedale di Moschiano, prima che finisse l’orario delle visite.

La macchina dei veri obiettivi era blindata e, quindi, resta quasi del tutto intatta – se si esclude qualche danno alla carrozzeria – mentre l’auto di Nunzio viene completamente crivellata: sotto quella pioggia di pallottole pare incredibile come Francesca, pur ferita alle gambe, alle braccia e al petto, sia rimasta viva e sia riuscita a proteggere anche la creatura che, già da sette mesi, portava in grembo.

Nunzio, invece, muore.

Muore prima che i sogni che aveva faticosamente trasformato in progetti fossero realizzati: prima di riuscire a godere, anche solo un giorno, del tanto sospirato lavoro di guardia giurata che era stato capace di conquistarsi dopo tanti anni di faticoso impiego da instancabile operaio; prima di poter dormire, almeno una notte, nella casa che stava costruendo per la sua nuova famiglia; e prima di veder nascere sua figlia, il frutto di amore maturato dopo una corte serrata, ma senza colpi di testa, a Francesca che da meno di un anno era la sua sposa.

Quello che è accaduto a Nunzio poteva succedere a chiunque, perché quella della mafia è anche una violenza cieca e indiscriminata, che non si cura delle particolarità delle persone e  spesso agisce senza fare troppe distinzioni.

Di fronte a ciò, lo strumento della memoria dovrebbe portare ciascuno a condividere il metodo dell’attenzione alla particolarità delle storie per sottrarre le vittime innocenti al calderone dell’impersonalità e dell’oblio nel quale la mafia vorrebbe seppellirle.

Per chi volesse approfondire la storia di Nunzio, di seguito il link al documentario realizzato da Andrea Parente di Libera Avellino: http://www.youtube.com/watch?v=uKNRDlVpB2M  

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