Educazione made in Italy VS education USA

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di Arianna Catti De Gasperi

Lasciare o meno l’Italia? Molti giovani studenti italiani si pongono più volte al giorno questa domanda e, purtroppo, in tanti decidono di lasciare il nostro Paese, molti sono quelli attratti dalle università americane. Ma dunque, il sistema universitario americano è migliore di quello italiano? Quale dà più possibilità di sbocco nel mondo lavorativo? Quale arricchisce maggiormente la formazione dello studente? Probabilmente non c’è una risposta certa e ognuno darà motivazioni diverse, ma è pur sempre possibile provare ad analizzare alcuni aspetti che caratterizzano questi due modelli educativi.

Tra i vari fattori da prendere in considerazione c’è sicuramente il rapporto studenti-docenti. In questo caso non si intende solamente il rapporto numerico (in Italia è circa 400 ad 1 mentre negli USA 20 ad 1) ma anche quello personale. A causa dell’elevato numero di frequentanti, un docente italiano non potrà mai dare una risposta ai problemi di ogni studente, al contrario di quello americano che non solo è in grado di dare attenzioni a tutti gli alunni, ma saprà anche associare visi e nomi.

Con questo non dobbiamo credere che il sistema accademico americano sia tutto rose e fiori.

In primis bisogna chiarire che l’università negli USA si inizia a frequentare a 17 anni (contro i 19 degli Italiani) e fino a qualche anno fa, i programmi dei corsi erano decisamente più semplici rispetto a quelli italiani. I nostri due anni in più si traducevano, infatti, in una maggiore preparazione e maturità che permetteva ai docenti di fornire corsi molto più formativi  di quelli proposti agli studenti americani. Dopo l’introduzione del 3 +2, purtroppo, non vi è più una sostanziale differenza fra il 17enne  americano e il 19enne italiano né tra i corsi della triennale e i corsi per conseguire il Bachelor (BA).

Un’altra grave falla nel sistema scolastico del Sig. Obama, è il costo delle università che varia dai 5000$ annui per quelle pubbliche ai 45000$ per il top del top come Harvard e Yale. Molti americani, dunque, arrivati all’età adulta, nonostante impiegati e da molto tempo lontani dalle aule dell’università, pagano ancora i debiti contratti per frequentare i corsi. La media di estinzione del prestito si aggira infatti intorno ai quindici-venti anni.

Anche noi abbiamo il nostro bel da fare ovviamente. Infatti, se è vero che l’università in Italia in media non costa più di duemila euro all’anno, è altrettanto vero che il 20% dei laureati non  riesce trovare un lavoro, e quando ne trova uno, lo stipendio non si discosta di molto da quello dei colleghi diplomati.

Quello che manca ai nostri docenti invece è un sistema di selezione meritocratico – meritocrazia questa sconosciuta – per quanto concerne concorsi e cariche.

Il fatto che moltissimi giovani preparati si siano trasferiti all’estero affermandosi come ricercatori e docenti, dimostra che l’università italiana è ancora in grado di produrre eccellenze. E mostra inoltre che gli stipendi, la prospettiva di carriera, e i benefits delle nostre università ci rendono scarsamente attraenti non solo per le eccellenze ma anche per giovani semplicemente bravi.

L’unica nostra certezza è che oggigiorno la serietà di un Paese e il suo interesse verso il futuro dei giovani si misura anche dall’interesse verso la scuola. Non essendoci questo interesse da parte dello Stato però devono essere proprio i giovani a rimboccarsi le maniche e provare a migliorare il sistema.

Socrate diceva “la conoscenza vi renderà liberi”. Liberi si, ma di cosa: pensare, agire, andarcene?

Andarcene sì, ma dove?

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