The Newsroom: la politica dei media approda su Rai 3

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di Beatrice De Caro Carella

È il fenomeno d’ascolto degli ultimi anni: 2.14 milioni di ascolti in occasione della premiere del Giugno 2012, il picco più alto mai registrato da HBO negli ultimi sei anni. E stavolta, il canale via cavo più chiaccherato del momento, non punta neanche sul sesso, a detta delle malelingue sua arma di seduzione dell’audience.

It’s not porn, it’s HBO” recita il viral del momento, ironicamente ribaltando lo slogan dell’emittente ma anche, velatamente, spalleggiandone la politica, perché chiunque segua HBO sa che soprattutto negli ultimi dieci anni la sua TV è divenuta sinonimo di qualità ben al di là della presunta spregiudicatezza da bollino rosso di certi suoi contenuti. Basti citare show del calibro di Extras, del caustico Ricky Gervais, Oz, I Sopranos, The Wire, True Blood, Boardwalk Empire e tra le sitcom Girls e Veep, senza contare il bellissimo Il trono di Spade, o miniserie da Emmy come Mildred Pierce. Non fa eccezione The Newsroom che nonostante si presenti al suo pubblico come una serie dal tema impegnato, fagocita ascolti e finalmente approda anche da noi, su Rai 3 dal 17 Ottobre.

Ideato e scritto da Aaron Sorkin, lo show chiude idealmente una trilogia del dietro la quinte della TV iniziata molti anni fa. Dapprima con Sports Night, serie dramedy dal retaggio anni ’90 con Felicity Huffman, Peter Krausee e Josh Charles sul “making of” d’un programma sportivo. Poi fu la volta del raffinato quanto sfortunato Studio 60, che dal backstage d’un suo fittizio Friday Night Live mostrava le difficoltà di Danny e Matt (Matthew Perry e Bradley Whitford) nel far satira in TV in anni in cui quest’ultima, sempre più politicante e politicizzata, veniva consacrata a strumento d’informazione e manipolazione, definendo la sua ambigua fisionomia a doppio filo. Non c’è rosa senza spine, d’altronde.

Anche The Newsroom, pertanto, pur adattando il tema al suo setting – la redazione da cui va in onda l’anchorman Will McAvoy (Jeff Daniels) – sceneggia lo stesso dramma: il rapporto mutevole tra informazione, intrattenimento, verità, omertà, cautela ed obbedienza ai vertici, siano essi occupati da forze politiche, economiche o d’opinione (capaci di generare consenso o dissenso).

Il racconto di The Newsroom esce raramente dal microcosmo degli uffici della ACN e ancor più raramente si allontana dal suo interesse primario, stare addosso alla notizia,  non solo per essere i primi ma essere i migliori, costruendo un’informazione che sia libera da pregiudizi e condizionamenti e che abbia a cuore unicamente il diritto all’informazione. Perché informazione vuol dire consapevolezza e questa genera coscienza, e la coscienza di sé e del mondo guida verso a una democrazia meno fallibile e forse persino perfettibile.

Si storce il naso di fronte a certa retorica, quasi fosse un riflesso condizionato. D’altronde, chiunque si lasci nuovamente catturare da quel cinico e disilluso monologo d’apertura magistralmente attuato da Daniels non può che confermare il percepirsi d’un presupposto d’idealismo che lascia, se non perplessi, con un divertito quanto scettico sorrisetto sulle labbra. Eppure Sorkin conosce il gioco a cui sta a giocando, e mette a nudo sullo schermo anche questo: questa stessa lotta che dopo i primi dieci minuti di visione si dibatte tra il nostro animo romantico e le nostre coscienze intorpidite. Da un lato McAvoy che come noi dopo anni di disincanto ha smesso di credere nella forza degli ideali e di lottare contro i suoi mulini a vento. Dall’altro la sua nuova EP, Mckenzie (Emily Mortimer) l’idealista solitaria, che sprona il suo hidalgo decaduto a tornare in sella.

Colpisce, a fronte dell’estrema complessità narrativa dello show, la sua parimenti straordinaria agilità fruitiva. The Newsroom si compone di scene lunghe, giocate su dialoghi scattanti, fatti d’un botta e riposta continuo, sempre allusivo, a volte persino franto, capace in venti secondi netti di tratteggiare la backstory d’un personaggio per esigenze di informazione e senza mai scadere nel didascalico. Nel solo pilota, si susseguono nell’ordine tre avvenimenti “catastofici” e tutte e tre senza forzatura alcuna confluiscono verso il raggiungimento del picco narrativo finale che ruota attorno al disastro della piattaforma di Deepwater Horizon. La formula attinge al reale ed è vincente, perché tra una zoomata di regia e l’altra, ottimamente in simbiosi coi ritmi della serie, Sorkin non dimentica il backstage del backstagem condendo il racconto in presa diretta della maratona dell’informazione del nuovo millennio – tra Facebook, Twitter, blog, community e forum – con una frizzante sprizzata di humor e romance, laddove il gioco delle coppie stempera e monta tensione in rapporto alternato, ma sempre nello stile del migliore infoteiment.

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