La crisi siriana rischia di diventare una minaccia a livello internazionale

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di Giuliano Bifolchi

La crisi siriana, o primavera siriana se si volesse seguire il filone di pensiero che ha conferito il termine “primavere arabe” ai moti insurrezionali che hanno caratterizzato il Nord Africa ed il Medio Oriente a partire dal 2011, continua ad attirare l’attenzione internazionale non solo per l’enorme numero di vittime che ha provocato, il quale ha superato quota 100 mila persone, e per la violenza che non sembra trovare una tregua, ma soprattutto in ottica geopolitica a causa delle influenze che tale conflitto potrà avere a livello regionale e mondiale provocando ripercussioni in Europa, Asia ed Africa.

Iniziata come forma di protesta contro il governo di Damasco a cui la popolazione richiedeva maggiore democrazia, rispetto per i diritti e per la dignità umana e protezione maggiore dall’azione della polizia siriana, l’intervento esagerato delle forze dell’ordine nel sedare le dimostrazioni pacifiche diede il via ad una serie di eventi che, in un meccanismo di reazione a catena, portarono all’insurrezione armata e alla richiesta di caduta del governo del presidente Bashar al-Assad favorendo lo scontro tra le forze ribelli e quelle fedeli al regime e facendo precipitare il paese nella guerra civile.

I recenti dati offerti dalle Nazioni Unite e dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani parlano di più di 100 mila morti provocati da una guerra civile scoppiata il 15 marzo 2011 a cui si devono aggiungere circa 3 milioni di sfollati, 1.2 milioni di rifugiati (dato fornito dall’UNHCR e risalente al marzo 2013) e 130 mila persone scomparse o detenute dalle opposte fazioni di cui non si hanno notizie. Cifre impressionanti che hanno portato le stesse Nazioni Unite a definire tale conflitto il peggiore registrato dal genocidio in Rwanda del 1994 (Siria – Intervista a Tommaso Della Longa, portavoce della Croce Rossa Italiana).

Andando ad analizzare gli ultimi due anni e mezzo di guerra civile è possibile vedere come gli eventi siriani abbiano causato un cambiamento nella configurazione del conflitto che inizialmente vedeva lo scontro delle forze ribelli con quelle di Bashar al-Assad ed ora, invece, si è evoluto sottolineando il contrasto dei sunniti contro gli sciiti, dell’Arabia Saudita e del Qatar contro l’Iran ed il Libano e della Russia contro l’Occidente con Mosca, insieme a Pechino, sostenitrice del regime di Damasco e riluttante all’intervento armato nell’area secondo il modello libico.  Proprio nel rapporto Russia-Occidente (Siria: mentre l’Onu resta a guardare) si è registrata una immobilità tale da non produrre effetti significativi sulla crisi siriana e si è esaltata la “debolezza” dell’Unione Europea presa a risolvere il problema della crisi economica che ha colpito il continente e che quindi ha limitato notevolmente la capacità di intervento coordinata e strategica; esempio lampante della debolezza europea è la mancata coesione e unicità di pensiero sulla risoluzione del conflitto con una proposta iniziale di destituzione di Bashar al-Assad da presidente e avvio del processo democratico sulla linea egiziana per poi tornare attualmente sull’idea della mediazione tra le parti attraverso il percorso diplomatico temendo un futuro post-Assad maggiormente incerto e caratterizzato dall’ascesa dei diversi gruppi ribelli affiliati ai movimenti jihadisti.

La linea della mediazione politica, dell’appoggio all’Unione Europea in direzione degli aiuti umanitari e del sostegno alle SOC (forze di opposizione siriane) è quella su cui punta anche l’Italia, come espresso lunedì 22 luglio 2013 nella conferenza organizzata dal Centro Studi per l’Europa del Mediterraneo (MESEURO) a Roma vertente su “La crisi siriana. Il ruolo dell’Italia e le responsabilità europee” a cui hanno partecipato il Ministro della Difesa Mario Mauro, gli Ambasciatori Achille Amerio e Ferdinando Nelli Feroci, gli onorevoli Ana Gomes e Gianni Pittella ed il professore Giorgio Buccellati. Lo stesso ambasciatore Amerio, attualmente Rappresentante speciale del Ministero degli Affari Esteri per la Crisi siriana, ha evidenziato come attualmente sia plausibile l’appoggio nei confronti della SOC (Opposizione siriana) dopo il cambio della leadership che appare maggiormente capace di veicolare e cooperare con l’opposizione “fuori dal sistema” e con quella invece che collabora con le realtà locali e con le associazioni umanitarie siriane. Opposizione che durante tutta la crisi siriana ha subito notevoli cambiamenti ed evoluzioni, la cui fragilità ha influenzato direttamente i rapporti con l’Occidente e che deve affrontare la grande sfida di coesione e coerenza cercando di evitare gli influssi di nuovi attori politici che si stanno interessando alla Siria.

Parlando proprio degli attori politici esterni è doveroso citare Hezbollah, il “Partito di Allah” con base in Libano e di confessione musulmana sciita, il quale è intervenuto in Siria in supporto alle forze presidenziali e per la prima volta nella sua storia combatte al di fuori dello stato libanese inviando un proprio esercito, rischiando di causare la reazione di altri stati ed attori politici regionali ed internazionali e dimostrando di comprendere come gli eventi ed esiti bellici siriani possano influire direttamente sul Libano.

Dal vicino Libano si potrebbe portare l’attenzione anche alla Cina che di recente ha posto in evidenza e studiato l’appoggio fornito alle forze ribelli dai differenti gruppi jihadisti e di militanza armata provenienti dall’Asia Centrale tra cui figurano gli uyghuri i quali, secondo quanto dichiarato da Pechino, stanno sfruttando il campo di battaglia mediorientale per acquisire le competenze militari necessarie per pianificare azioni di guerriglia ed attentati mirati all’interno della provincia cinese dello Xinjiang e per portare il loro problema alla ribalta internazionale coinvolgendo l’intero mondo dei gruppi fondamentalisti islamici (La guerra siriana coinvolge anche la Cina).

Secondo quanto sostenuto dal Ministro della Difesa Mario Mauro durante la conferenza, la guerra civile siriana è assimilabile a quella spagnola del 1938 il cui mancato intervento europeo favorì poi gli sviluppi che portarono agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, e vista la gravità della situazione siriana a livello umanitario, vista l’instabilità regionale e viste le probabili ripercussioni che questa potrebbe avere su Libano con eventuale destabilizzazione regionale, Israele, sempre più preoccupato per la propria integrità e sicurezza, Turchia, attualmente alle prese con i problemi di politica interna ma promotrice di un progetto di affermazione regionale, Iraq post conflitto che presenta una situazione sociale in regresso rispetto al periodo antecedente il 2003 e sta registrando il riaccendersi delle controversie tra sunniti e sciiti, Arabia Saudita, paese simbolo dell’Islam sunnita in opposizione all’Iran sciita, e Russia in aperto contrasto con l’Europa, la linea della mediazione politica e del negoziato appare l’unica soluzione sperata e percorribile per evitare che le agitazioni caratterizzanti l’area mediorientale degli ultimi 40 anni esplodano facendo prevalere il caos con riflessi diretti in in Europa, Asia ed Africa. Tesi della negoziazione avvalorata dallo stesso Segretario di Stato degli Stati Uniti John F.Kerry il quale, durante la sua prima visita alle Nazioni Unite ed incontro con il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon di giovedì 25 luglio, ha dichiarato l’impossibilità della soluzione militare e la necessità di perseguire la soluzione politica inducendo l’opposizione siriana e Bashar al-Assad a sedersi al tavolo dei negoziati.

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